Link ai dati scientifici:
- SPS TREND (2020). ResPOnsE COVID-19. Risposta dell’Opinione Pubblica all’Emergenza Covid-19 in Italia. Rapporto finale - La luce in fondo al tunnel: tra riduzione dei contagi e timori per l’economia. Edizione 30 luglio 2020 (dati 6 aprile – 8 luglio 2020). In collaborazione con Swg.
Centocinque milioni e mezzo di persone positive al Covid in tutto il pianeta in poco più di un anno e oltre due milioni di morti accertati finora. In Italia, i decessi hanno superato quota 90 mila. Che ruolo possono ricoprire le scienze sociali contro un virus che fa registrare numeri simili? Individuare e comprendere le conseguenze sociali, economiche e politiche della crisi profonda che sconvolge il mondo da dicembre 2019: ecco la sfida. Un compito arduo perché il virus corre veloce e le misure per contenere il contagio cambiano di continuo per adattarsi alle esigenze del momento: i paesi di tutto il globo hanno affrontato mesi di emergenza e incertezza, alternando situazioni di (quasi) normalità a lockdown più o meno severi.
L’Italia – il primo paese europeo a esser colpito dalla pandemia nel febbraio 2020 e a inaugurare un lockdown severo che ha tenuto milioni di individui confinati nelle proprie case per circa tre mesi – offre un’occasione unica per rispondere a domande importanti sul comportamento e le opinioni dei cittadini in un’epoca di crisi senza precedenti: come hanno reagito gli abitanti della Penisola all’emergenza sanitaria? Quanto scrupolosamente si sono attenuti alle misure di contenimento? Come hanno valutato il governo e la sua strategia di contenimento del virus? Come giudicano la performance del sistema sanitario e degli enti locali?
È con queste domande in mente che SPS Trend Lab dell’Università degli Studi di Milano ha sviluppato ResPOnsE COVID-19, una survey per monitorare l’opinione pubblica durante la pandemia. A differenza di altri sondaggi a campionamento trasversale – quelli detti in gergo “cross-sectional survey” – che sono stati realizzati nello stesso periodo, ResPOnsE COVID-19 ha un impianto del tipo “rolling cross section” (RCS), usato di solito per studiare le campagne elettorali: permette di monitorare le dinamiche di breve termine nell’opinione pubblica. In pratica si raccolgono interviste standardizzate su campioni giornalieri e indipendenti per un dato periodo di tempo: così si possono cogliere variazioni di giorno in giorno nella pubblica opinione che altrimenti non si noterebbero.
ResPOnsE COVID-19: la maxi inchiesta curata dalla Statale
Durante il primo ciclo di raccolta dati, svolto tra il 6 aprile e il 9 luglio 2020, sono state realizzate più di 15.700 interviste tramite CAWI (la modalità di rilevazione più comune quando si tratta di somministrare sondaggi online) su un’ampia gamma di argomenti che spaziava dal rispetto delle disposizioni circa il comportamento – stare a casa, mantenere il distanziamento, indossare la mascherina – agli atteggiamenti nei confronti dell’economia e dell’uso dei media, al giudizio sul governo e la fiducia nelle istituzioni, alla percezione dei rischi relativi alla crisi sanitaria, al benessere personale, alle opinioni riguardo alla scienza e alla politica. Il questionario di base fotografava anche caratteristiche sociodemografiche quali età, genere, ruolo familiare, regione di residenza, situazione lavorativa, livello di istruzione e percezioni nei confronti del reddito familiare.
Sono stati poi inclusi moduli aggiuntivi a rotazione, incentrati su questioni specifiche come attitudini, convinzioni e comportamenti religiosi, ma anche la predisposizione nei confronti della democrazia e della solidarietà europea nonché del ruolo dello stato e del mercato in tempi di crisi. I costi socioeconomici della crisi sono stati analizzati facendo particolare attenzione al genere delle persone coinvolte. La figura 1 mostra una panoramica dei risultati del primo ciclo di sondaggi. (Chi volesse più dettagli su com’è stato progettato il sondaggio, li trova sul numero speciale della rivista Survey Research Methods dedicato al coronavirus).
Per monitorare lo sviluppo dell’opinione pubblica italiana con l’evolversi dell’emergenza sanitaria, nel 2020 è stato realizzato un secondo ciclo di sondaggi – altre 3000 interviste – e poi un terzo a partire da febbraio 2021. In tutti e tre i casi, i campioni sono stati formati da volontari della community virtuale di un istituto di ricerca commerciale (Swg S.p.A.), stratificati per macro-area di residenza e, successivamente, riequilibrati per genere, fascia di età e livello di istruzione. Il metodo di campionamento adottato non è di tipo probabilistico, per cui le stime puntuali non possono essere generalizzate all’intera popolazione italiana. Tuttavia, questi dati forniscono informazioni chiave su uno dei periodi più critici e incerti della storia italiana recente.
La prima ondata: disciplina, poi intolleranza (e nostalgia della vecchia disciplina)
Un punto cruciale del sondaggio riguarda il comportamento dei partecipanti e il loro rispetto delle misure di contenimento imposte durante il primo lockdown durato da marzo a maggio 2020. I risultati mostrano come, all’inizio, i soggetti fossero estremamente disciplinati e si attenessero pedissequamente alle restrizioni. Con il passare delle settimane e con l’attenuarsi dei livelli di contagio e delle misure restrittive, però, i partecipanti sono progressivamente tornati alle loro consuete attività fuori casa (Figura 2a). Di conseguenza possiamo osservare un decremento nell’adozione di misure di prevenzione come il distanziamento sociale, l’uso di mascherine e il lavaggio frequente delle mani (Figura 2b), come pure una crescente intolleranza verso le limitazioni nei confronti delle libertà personali (Figura 2c). Eppure, una volta concluso il primo lockdown, gli intervistati hanno cominciato a chiedere un ritorno a misure più restrittive (Figura 2d). È possibile che questi ricorrenti cambi di atteggiamento siano alla radice della seconda ondata del virus che ha colpito il paese dopo l’estate.
Governo in picchiata, Europa in risalita: è l’economia il tallone d’Achille
Per quanto riguarda l’attitudine nei confronti delle istituzioni, l’opinione pubblica ha espresso un orientamento ambivalente. La fiducia nel parlamento nazionale è rimasta bassa ed è persino diminuita durante la crisi, mentre l’immagine dell’Unione Europea è migliorata. Gli intervistati hanno anche mostrato giudizi positivi sulle decisioni governative riguardanti le misure restrittive, mentre si sono dimostrati molto più critici rispetto alle misure economiche. Di conseguenza, i partecipanti al sondaggio sono risultati molto preoccupati per l’economia nazionale, con un italiano su quattro a ritenere che l’economia fosse peggiorata dall’inizio della pandemia (Figura 3a). Inoltre, con il passare dei mesi, i soggetti sono diventati progressivamente più inclini a ritenere che il governo dovesse attivarsi per proteggere l’economia più che la salute pubblica (Figura 3b). Questa tendenza va di pari passo con la percezione di un minore rischio di contagio che ha accompagnato l’alleviarsi dell’emergenza sanitaria durante l’estate. Tuttavia, sensazioni di incertezza e paura sono state comuni in tutto il paese, incluse le aree meno colpite dalla prima ondata della pandemia.
Una lama a doppio taglio: se ti senti protetto, ti esponi di più ai rischi
Nel complesso, si può pensare ai mesi della prima ondata della pandemia di Covid-19 come a una crisi collettiva che non ha risparmiato nessuno. La maggior parte dei soggetti intervistati conosceva qualcuno che fosse stato contagiato, che fosse in quarantena o che fosse morto, e persino coloro che non erano direttamente colpiti dal punto di vista della salute si trovavano ad affrontare le conseguenze economiche della pandemia. È probabile che la gravità della seconda ondata arrivata nell’autunno del 2020 abbia esacerbato questa tendenza.
Particolare attenzione meritano l’accettabilità pubblica delle misure di contenimento durante la pandemia e il ruolo che hanno giocato la fiducia istituzionale e il sostegno politico specifico. La fiducia nelle istituzioni è risultata associata positivamente al sostegno per la performance del primo ministro e per quella delle istituzioni regionali del nord-ovest, il che ha aumentato la probabilità che le misure restrittive venissero rispettate. Tuttavia, nelle stesse regioni il giudizio sulla performance del sistema regionale ha avuto un effetto positivo sulla percezione di essere al sicuro dal virus, allentando l’adesione alle misure restrittive. I risultati evidenziano il ruolo centrale sia delle istituzioni nazionali che di quelle regionali. Più ci si sente al sicuro, più si rischia di abbassare la guardia e incappare nel contagio. Per questo, anche quando si verifica un incremento di fiducia nelle istituzioni, non è detto che adottare misure uguali per tutti sia la soluzione migliore durante la pandemia, perché contesti diversi possono rispondere alle medesime regole in modo profondamente differente.
La religione, una risorsa per reagire alla crisi
I dati di ResPOnsE COVID-19 sono stati utilizzati per studiare anche quanto i soggetti abbiano fatto ricorso alla religione per fare fronte alla sensazione di insicurezza provocata dalla pandemia. Chi ha segnalato un caso di contagio in famiglia ha anche dimostrato una maggiore religiosità: sia in termini di partecipazione alle funzioni religiose (via web, radio, o televisione), che di preghiera durante la pandemia (Figura 4). Ciò vale soprattutto per coloro che hanno ricevuto un’educazione religiosa da piccoli, il che conferma quanto si sa sul ruolo cruciale che la trasmissione familiare gioca nel plasmare le credenze e i comportamenti religiosi individuali e nel fornire alle persone strategie di coping religioso. Questi rilevamenti suggeriscono che in circostanze drammatiche sia possibile un revival religioso di breve periodo, anche in contesti in cui è in corso un processo di secolarizzazione.
Se sei donna, la pandemia pesa di più (soprattutto in Italia)
L’Università di Costanza ha realizzato un sondaggio simile a ResPOnsE. La collaborazione tra i due atenei ha permesso di testare l’ipotesi che i cambiamenti nel contributo al reddito apportato in famiglia dagli uomini e dalle donne in Germania e in Italia durante la pandemia corrispondessero anche a un cambiamento nel lavoro non retribuito all’interno delle mura domestiche. In entrambi i Paesi, come si può vedere in Figura 5, a farne le spese sono soprattutto le donne, sulle cui spalle è andato a pesare ancora di più il lavoro di cura e di gestione familiare. Sono i posti di lavoro femminili i primi a saltare in tempo di crisi. E quando diminuisce (o svanisce) lo stipendio, diminuisce il potere negoziale: così aumentano le faccende da sbrigare dentro casa per chi non ricopre il ruolo di breadwinner. Una realtà, questa, riscontrata in entrambi i Paesi, ma più marcata nella Penisola: forse perché qui il Coronavirus ha colpito prima, forse perché in Germania è più facile accedere a un contratto part-time che permetta di dedicarsi ai figli senza dover rinunciare al lavoro. Quale che sia la ragione alle donne del Belpaese il coronavirus è costato (più) caro.