- Link al testo scientifico: Far away so close: Young Italians and the consumption of war images in social networks di Enzo Colombo, Giulia Giorgi, Paola Rebughini, in Banash M., Halonen R. and Purronen, V. Dynamics of Uncertainty, Unrest and Fragility in Europe. Routledge, 2024 (forthcoming)
- Link all’articolo scientifico: Asmolov G (2021) From sofa to frontline: The digital mediation and domestication of warfare. Media, War & Conflict 14(3): 342–365.
Lanciato nel 2018, TikTok è oggi uno dei social network più popolari tra giovani e adolescenti. È una piattaforma cinese per condividere brevi video autoprodotti: agli esordi veniva usata per diffondere passi di danza e coreografie musicali, poi i contenuti si sono ampliati fino a includere forme di autopromozione commerciale e testimonianza di eventi. Data la sua popolarità, TikTok è oggi anche un vettore e un filtro nei confronti della circolazione di immagini sulle guerre. Uno studio della Statale di Milano si è concentrato su come è rappresentato su TikTok il conflitto russo-ucraino. Ecco che cosa ne è emerso.
Tra algoritmi e precarietà, una guerra più “classica”
Posto che piattaforme diverse e algoritmi differenti possono produrre e filtrare rappresentazioni della guerra molto distanti tra loro, TikTok sembra offrire un punto di vista tendenzialmente addomesticante e normalizzante del conflitto al centro delle preoccupazioni dell’Europa da più di due anni. D’altra parte questa narrativa visuale avviene all’interno di un contesto culturale e mediatico dove il discorso pubblico sulla guerra tende a diventare più famigliare. Per una generazione di giovani già provata dai lockdown e dal Covid, oltre che da una perdurante precarietà del lavoro, l’orizzonte di una guerra in Europa appare come un’ulteriore ipoteca sul futuro. Nel discorso pubblico e mediatico una qualche forma di guerra che coinvolga l’Europa non appare più un’ipotesi fantascientifica. La necessità di investire di più in armamenti è messa in primo piano di continuo dai governi, e non mancano proposte da parte di esponenti politici europei rispetto alla possibilità di reintrodurre la leva obbligatoria o di costituire un esercito europeo. L’immagine di tecnologie di guerra sempre più sofisticate ma anche facilmente maneggiabili e manipolabili fa anch’essa parte di uno scenario dove l’immaginario della guerra appare sempre più presente e molto cambiato rispetto a quello dell’epoca della Guerra fredda, centrato sulla deterrenza e l’autodistruzione nucleare. Le immagini del conflitto russo-ucraino che circolano nei media appaiono infatti molto simili alle guerre classiche del passato: guerre tra nazioni, dove i civili vengono coinvolti dai bombardamenti e cittadini che fino a poco prima erano impiegati nelle più diverse professioni si trovano sulla linea del fronte come soldati.
Osservare l’immaginario del conflitto dal punto di vista di una piattaforma di intrattenimento come TikTok può quindi dare molte informazioni utili su come giovani e adolescenti vengono in contatto con il tema della guerra, come questo argomento viene filtrato e rielaborato, come gli utenti lo vedono rappresentato e di conseguenza lo considerano o meno come una possibilità verosimile. Per far questo, la nostra indagine si è concentrata sull’analisi qualitativa di contenuti relativi al conflitto russo-ucraino raccolti dalla piattaforma TikTok.
La ‘tiktokizzazione’ della guerra, tra quotidianità e spettacolo
Dalla nostra analisi emerge che la rappresentazione della guerra in questa piattaforma passa attraverso un flusso di contenuti di diverse tipologie, tra cui spiccano i filmati amatoriali di soldati coinvolti nel conflitto (anche se sono soprattutto i soldati sul fronte ucraino a postare, per cui l’analisi può essere soggetta ad alcuni pregiudizi), contenuti informativi di vario genere (notizie e commenti alle notizie), video ironici o dall’intento attivista, spesso associati a messaggi di pace o protesta. I video relativi alla guerra pubblicati su TikTok fanno ampio uso degli strumenti messi a disposizione dalla infrastruttura per stimolare a interagire con il contenuto (le cosiddette affordances, per gli anglofoni): in primis l’elemento musicale, ma anche i filtri e gli stickers, per creare contenuti che si adattino alla logica coinvolgente e dal ritmo rapido che caratterizza la piattaforma. Nel loro insieme queste tipologie di video tendono verso una normalizzazione della guerra, seguendo almeno due filoni narrativi: l’idea della guerra come la “nuova quotidianità” e la spettacolarizzazione del conflitto armato.
Nel primo caso, la “quotidianizzazione” della guerra è associata al fatto che TikTok rimane principalmente un social media in cui viene messa in mostra la vita di tutti i giorni degli utenti. Questo aspetto appare evidente in molti dei video analizzati, nei quali la vita al fronte viene rappresentata con gesti e momenti semplici, in cui tutti potrebbero riconoscersi. La maggior parte dei video pubblicati immortala soldati, con l’uniforme indosso e le armi a portata di mano, impegnati in una serie attività ordinarie e in un’atmosfera generalmente allegra di convivialità cameratesca.
In uno dei video più rappresentativi, si vede un soldato prendere le misure, segare pezzi di legno, inchiodarli e infine posizionare un piccolo cartello con la scritta in ucraino “checkpoint per gatti”. La scena finale mostra i gatti che escono dall'apertura della trincea. Contenuti come questi mostrano la vita al di là della (e nonostante la) guerra, la cui presenza minacciosa rimane tuttavia sempre percepibile nei palazzi ridotti in macerie sullo sfondo. Questi contenuti segnalano uno spazio per la resistenza e la manifestazione dell’umanità nonostante l’assurdità del conflitto, mentre l’ostinata ripetizione delle banalità dei gesti quotidiani evidenzia, per contrasto, l’assurdità della vita in guerra.
Nel secondo caso, la spettacolarizzazione è costituita da video con immagini di aerei, carri armati, esplosioni, incendi, distruzione di edifici. Qui scompare l’aspetto umano e corporeo della guerra, l’attenzione è tutta rivolta al lato tecnico del combattimento. La guerra diventa distruzione di “oggetti” e “bersagli” piuttosto che violenza contro corpi ed esseri viventi. Si tratta di filmati con accompagnamento musicale generati al computer in cui vengono simulate armi – più o meno reali – che distruggono obiettivi nemici; lo stile è quello dei videogiochi e dei film d'azione, con una fascinazione neofuturista per le armi e le macchine da guerra, dove il potere distruttivo è fine a se stesso.
Una guerra vicina, concreta, possibile
Sottoponendo alcuni di questi video in focus group con studenti dell’ultimo anno della scuola superiore nell’area milanese è emerso che sebbene TikTok sia ampiamente utilizzato, non rientra tra le piattaforme considerate attendibili per le informazioni sulla guerra. Molte ragazze e ragazzi hanno espresso commenti critici rispetto ai contenuti dal carattere più ironico – che associano immagini di guerra a musica o balletti – accusandoli di banalizzare e sminuire la tragicità del conflitto. Altri hanno denunciato i contenuti più crudi, perché non servono a sensibilizzare le persone ma piuttosto producono una banalizzazione della violenza.
Al di là di questa diffidenza, dal dialogo con i giovani emerge una crescente familiarizzazione con gli scenari di guerra, non più considerata come una possibilità remota e inverosimile per il loro futuro. C’è chi ritiene che un conflitto che coinvolga direttamente tutta l’Europa sia un evento quasi certo che li riguarderà e li obbligherà a scelte difficili. Per questo TikTok sembra avere un ruolo ambivalente nel produrre una normalizzazione degli scenari di guerra tra i giovani, dove l’addomesticamento della paura è anche un venir meno del senso di scandalo verso la guerra.