Link all’articolo scientifico:
- P. Vesan & F. Corti (2019), New tensions over Social Europe? The European Pillar of Social Rights and the Debate within the European Parliament, Journal of Common Market Studies, Volume 57, Issue5, pp. 977-994
Coesione e progresso sociale sono tra gli obiettivi principali dei trattati europei. Nell’articolo 3 del Trattato sull’Unione europea, infatti, essa viene definita come “un’economia sociale di mercato,” votata alla piena occupazione e al progresso sociale, impegnata nella lotta all’esclusione e alla discriminazione nonché nella promozione della giustizia e della protezione sociali. Una missione ambiziosa e per molti da tempo trascurata, che si rafforza o si indebolisce a ogni seduta del Parlamento europeo. Ma come votano gli eurodeputati? Che siano convocati a Strasburgo o a Bruxelles, si pensa sempre siano guidati dalle proprie convinzioni ideologiche – di destra o di sinistra – quando non dalla simpatia o dallo scetticismo nei confronti delle istituzioni comunitarie. Uno studio sviluppato dalla Statale di Milano e dall’Università della Valle d’Aosta mostra che c’è di più e che – soprattutto – non di rado fanno fronte comune schieramenti politici che sulla carta starebbero agli antipodi. Ecco perché.
L’acquis europeo e una missione sociale in declino
A dispetto della natura sociale degli obiettivi e dei princìpi elencati nei trattati, e nonostante le politiche sovranazionali con espliciti intenti sociali costituiscano il cosiddetto “acquis” europeo – cioè quell’insieme di diritti, doveri e obiettivi condivisi che vincola e accomuna gli stati membri dell’Ue – l’Unione è spesso aspramente criticata per il suo “deficit sociale”. Molti studi recenti paventano lo svuotamento, il declino e lo smantellamento dell’Europa sociale. Lamentano l’assenza di un’agenda di politiche sociali comuni, il progressivo diradarsi di iniziative legislative proposte dalla Commissione e la promozione da parte della stessa di un’agenda di policy incentrata interamente sulla costruzione di un mercato liberista a scapito di una regolamentazione attenta al sociale. I diritti sociali sembrano sempre più strutturalmente subordinati alla libertà economica e ai vincoli di bilancio imposti dalla governance economica dell’Unione economica e monetaria (Uem).
Un’Unione invadente?
La rimozione dell’Europa sociale, avvenuta nel corso degli ultimi trent’anni, ha contribuito ad alimentare il malcontento nei confronti dell’Unione. La tensione tra il bisogno di protezione sociale nazionale e i tagli e le politiche di austerità imposte dall’Uem si è inasprita velocemente ed è entrata nelle competizioni elettorali, dove sta generando una nuova e turbolenta frattura tra coalizioni europeiste e coalizioni antieuropeiste.
Mentre la letteratura scientifica si è generalmente concentrata sulla difesa da parte dei partiti politici del welfare state nazionale contro “l’invadenza” europea e sulla crescente politicizzazione degli affari europei nella sfera nazionale, poca attenzione è stata dedicata alla “politica dell’Europa sociale”, ossia alla configurazione politica del conflitto sull’integrazione sociale a livello europeo. In altri termini manca spesso una risposta alla domanda: chi è a favore dell’Europa sociale e chi è contro? Per rispondere un buon punto di partenza è lo studio dei comportamenti di voto al Parlamento europeo.
Il Pilastro europeo dei diritti sociali
Il 19 gennaio 2017, i parlamentari europei hanno approvato il report sul Pilastro europeo dei diritti sociali, iniziativa lanciata dall’allora presidente della commissione Juncker con lo scopo di rafforzare l’acquis sociale dell’Unione e promuovere, soprattutto all’interno dell’euro zona, un compromesso al rialzo in materia di diritti sociali e del lavoro. La risoluzione del Parlamento europeo sul Pilastro sociale, preparata dalla deputata socialista Maria João Rodrigues, aveva un contenuto ambizioso e invitava direttamente a intraprendere azioni concrete e vincolanti nel settore legislativo, in quello finanziario e quanto a coordinazione. Dal momento che tocca tutti i punti dell’Europa sociale, questa risoluzione parlamentare offre un punto di vista privilegiato a partire dal quale è possibile indagare il conflitto politico sull’Europa sociale e rispondere così alla nostra domanda di ricerca.
La letteratura tradizionale sui partiti e sul voto in Europa sostiene che il conflitto politico sia monodimensionale o, al più, bidimensionale. In particolare, molti studiosi ritengono che la dimensione più importante del conflitto interno al Parlamento europeo si possa spiegare in termini di distinzione tra destra e sinistra o tra favorevoli e contrari all’integrazione europea, mentre gli interessi nazionali giocherebbero un ruolo più defilato nel determinare effettivamente il voto.
La sindrome da scontro in Ue
Questa interpretazione, tuttavia, appare poco convincente; le nuove e molteplici crisi europee di integrazione suggeriscono invece che il conflitto si sia andato configurando in modo più complesso negli ultimi anni. Ciò è vero in particolare per quanto riguarda la dimensione sociale dell’Unione europea. Come sostiene Maurizio Ferrera, la crescente difficoltà nel riconciliare la dimensione sociale e quella economica del processo di integrazione europea ha fatto emergere, specialmente dopo la crisi dell’euro, una “sindrome da scontro” in cui vecchie divisioni politiche vengono esacerbate e vanno ad aggiungersi o a intrecciarsi a divisioni di tipo nuovo.
Nuove divisioni territoriali intersecano il tradizionale conflitto funzionale tra destra e sinistra così come quello tra favorevoli e contrari all’integrazione europea. Da un lato, infatti, è emersa una nuova linea di tensione su questioni di disciplina fiscale e di redistribuzione e stabilizzazione economica transnazionale tra stati europei creditori e debitori. Dall’altro lato, è emerso un secondo tipo di tensione, quella incentrata sulla questione della libera circolazione e dell’accesso al welfare nazionale, che ha aizzato gli stati membri ad alto reddito medio contro quelli che hanno un reddito più contenuto.
Uno sguardo alla distribuzione del voto parlamentare sul Pilastro Sociale rivela subito come si sia ufficialmente formata una inedita coalizione favorevole tra i maggiori gruppi parlamentari, che andava dall’estrema sinistra (Gue/Ngl) al centro-destra (Alde e Ppe) dell’arco parlamentare.
La destra frammentata
Se a prima vista la tradizionale divisione tra destra e sinistra sembra in grado di spiegare l’esito del voto, essa non dà però conto della particolare presa di posizione di Alde e Ppe. Liberali e cristiano-democratici sono infatti al loro interno divisi in due gruppi, uno a favore della risoluzione e uno contrario. Analogamente, la divisione tra favorevoli e contrari all’integrazione europea predice accuratamente un voto contrario da parte dell’estrema destra parlamentare, ma non spiega perché il gruppo Gue/Ngl abbia votato la risoluzione sul Pilastro europeo nonostante sia tradizionalmente annoverato tra le forze politiche euroscettiche.
Al di là del sostegno del gruppo Gue/Ngl – facilmente giustificabile alla luce della sua appartenenza alla sinistra politica – a sorprendere è la posizione di alcuni europarlamentari del Ppe e dell’Alde. Per trovare una spiegazione basta guardare alla distribuzione territoriale del voto concentrandosi in particolare su quelle delegazioni nazionali di Alde e Ppe che hanno votato contro la linea portata avanti dal proprio gruppo (Fig. 2).
Un pilastro sostenuto da debitori (ma con un buon welfare)
La figura 2 mostra come tutti gli europarlamentari liberali e cristiano-democratici “dissidenti” provengano da paesi nordeuropei o est-europei. Al contrario, le delegazioni Ppe e Alde di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro hanno votato a favore della risoluzione insieme agli eurodeputati del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). La figura 2 sembra pertanto suggerire l’emergere di due spaccature territoriali all’interno dei gruppi Ppe e Alde: quella tra delegazioni nazionali di stati creditori e di stati debitori e quella tra delegazioni est-europee e delegazioni europee-occidentali.
Se si considerano in dettaglio questioni specifiche su cui gli europarlamentari liberali e cristiano-democratici si sono spaccati dà conferma di questa ipotesi. Guardando agli emendamenti presentati in commissione parlamentare emerge come gli europarlamentari del Ppe e dell’Alde provenienti da paesi creditori si siano chiaramente opposti alle proposte di redistribuzione economica transnazionale e di ammorbidimento della disciplina fiscale. Al contrario, quelli provenienti da paesi debitori hanno sostenuto quando non addirittura rafforzato le proposte contenute nella bozza di risoluzione. Allo stesso tempo, si può vedere anche come le delegazioni centro-europee o est-europee di PPE e ALDE si pongono in opposizione a quelle dei loro omologhi occidentali su questioni di mobilità lavorativa, convergenza salariale e accesso ai sistemi di sicurezza sociale nazionali.
Quattro dimensioni e coalizioni trasversali
Per riassumere, l’analisi del voto parlamentare sul Pilastro sociale rivela l’esistenza di costellazioni politiche complesse su questioni riguardanti le politiche sociali europee e quelle del lavoro. Contrariamente alle spiegazioni offerte dalla letteratura tradizionale, che presentano il conflitto sull’integrazione europea come bidimensionale, nel dibattito sull’Europa sociale osserviamo l’emergere di due ulteriori linee di tensione – quella tra paesi creditori e paesi debitori e quella tra stati europei con alto welfare e alti salari e stati europei a basso welfare e bassi salari. Quattro dimensioni che non si oscurano a vicenda ma piuttosto si intersecano e combinano in quella che appunto si delinea come una complessa sindrome da scontro. Se la combinazione di fratture territoriali e nazionali complica certamente la possibilità di giungere ad accordi, essa spiana allo stesso tempo la strada all’emergere di nuove coalizioni politiche grazie all’intrecciarsi di molteplici linee di tensione.
Per tornare alla domanda iniziale su chi sia a favore dell’Europa sociale e chi sia contro, la risposta è “Dipende”: da quale questione sta al centro del dibattito al momento e dalla possibilità o meno di formare coalizioni trasversali.