- Link all’articolo scientifico: Giuliani M. & Madama I. (2022) What if? Using counterfactuals to evaluate the effects of structural labour market reforms: evidence from the Italian Jobs Act, Policy studies, DOI: 10.1080/01442872.2022.2039385
“Chissà come sarebbe andata a finire, se non avessi…”. Quante volte è capitato di pensarlo?
Vale per le persone e le loro scelte individuali (sposarsi, tentare un dottorato, accettare una proposta di lavoro, trasferirsi all’estero). Vale per i sistemi politici e le relazioni fra stati (riformare un sistema elettorale, stringere un accordo internazionale, comminare sanzioni economiche, conferire armi). E vale anche per politiche pubbliche, come quella esaminata qui: il Jobs Act introdotto in Italia dal governo Renzi.
Il problema – in tutti questi ragionamenti – è che non è dato sapere cosa sarebbe successo se avessimo rifiutato quel lavoro, se il Regno Unito fosse rimasto nell’Unione Europea o se la Nato avesse stabilito una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina. È la maledizione del controfattuale. Per capire davvero gli effetti di una decisione ci servirebbe conoscere cosa sarebbe successo se non l’avessimo presa.
Un perfetto esempio di controfattuale, sul grande schermo, è rappresentato da ciò che succede a Gwyneth Paltrow in Sliding Doors. Un piccolo intralcio nella discesa delle scale per la metropolitana fa sì che due mondi perfettamente identici si dipartano. Nel primo, l’attrice perde la metro e la sua storia personale prosegue su un binario già tracciato. Nel secondo, riesce a prendere il treno con un ultimo scatto, trova a casa una sorpresa, e una nuova catena di eventi si dipana. Stessa persona, stesso passato. Solo quel piccolo evento a fare la differenza. John Stuart Mill lo chiama proprio “metodo della differenza”. Consente, da un lato, di individuare la causa di un determinato fenomeno e – dall’altro – nel raffronto fra due mondi altrimenti perfettamente identici, di valutare gli effetti di determinati eventi, scelte o politiche.
Riavvolgere il nastro della storia o della politica, tuttavia, non è possibile. Il controfattuale rimane inaccessibile. Per questo così spesso divergono i pareri sull’efficacia di provvedimenti pubblici, che si tratti di una decisione di politica estera, di un intervento sul mercato del lavoro o di una restrizione anti-Covid.
Prendiamo il Jobs Act, per esempio.
Il mondo del lavoro italiano prima della riforma
Si tratta di una politica di flessibilizzazione dei rapporti di lavoro centrata sul cosiddetto contratto a tutele crescenti, introdotta dal governo Renzi a cavallo fra il 2014 e il 2015. Fra i suoi obiettivi principali c’era la riduzione della segmentazione del mercato del lavoro e – attraverso questa – il rilancio dell’occupazione. Soprattutto per giovani e donne, categorie i cui livelli d’impiego, storicamente, hanno mostrato pesanti ritardi rispetto ai partner europei.
Guardando al tasso di occupazione, nei dintorni del 2015 si registra effettivamente un aumento della percentuale di occupati, che da allora è cresciuta incessantemente fino allo stop del 2020 con l’arrivo della pandemia. Diversi politici, osservatori e anche organizzazioni internazionali hanno commentato tale successo mettendolo in connessione con la nuova strategia introdotta dal Jobs Act.
Il metodo: mondi paralleli a tavolino, un controfattuale “sintetico”
Ma è davvero così? Per dirlo servirebbe un controfattuale: un’Italia senza Jobs Act che ripercorresse quegli anni e che fosse, così, in grado di fornirci una misura della differenza dovuta alla riforma fortemente voluta da Renzi. In mancanza di un controfattuale, il metodo comparato suggerisce di selezionare un paese il più simile all’Italia, e di usarlo come uno specchio capace di mettere in luce le differenze che stiamo cercando. Qual è quel paese? Esiste davvero? Per certi versi, l’Italia può essere considerata simile ad altri paesi del Sud Europa: è paragonabile alla Spagna, ad esempio, in relazione all’andamento dell’occupazione totale, ma non per la quota di contratti a termine; assomiglia al Portogallo per l’incidenza della disoccupazione, ma non per i tassi di occupazione femminile; e ancora, è comparabile alla Grecia per la dinamica dell’occupazione femminile, ma non per l’incidenza della disoccupazione giovanile. Anche in questi casi, si tratta sempre di similitudini imprecise, valide solo per alcune fasi e per aspetti specifici.
Non sempre una “paired comparison”- un confronto tra coppie di cose in qualche modo simili – è fattibile, né rappresenta la migliore risposta ai problemi di comparazione sollevati dalla ricerca di un controfattuale. Gli altri mondi non sono abbastanza somiglianti al nostro: è difficile rigettare il sospetto che siano proprio tali differenze a fare la differenza, cioè a essere all’origine di specifiche dinamiche del mercato del lavoro.
Al posto di individuare a priori un paese “sufficientemente simile”, un’opzione valida è quella di lasciarsi guidare dai dati e di costruire artificialmente un controfattuale che risulti dalla combinazione di paesi diversi. La combinazione migliore sarà quella maggiormente capace di approssimare le dinamiche italiane della variabile di interesse nella fase precedente alla riforma, dimostrando così di essere un efficace controfattuale. Tale controfattuale “sintetico” – questa tecnica si chiama appunto “synthetic control method”, metodo di controllo sintetico – rappresenterà poi il termine di riferimento per valutare negli anni successivi gli effetti della politica. Nel nostro caso, gli effetti del Jobs Act.
Giovani, donne, occupati e contratti a termine
Abbiamo applicato questa metodologia a una serie di indicatori del mercato del lavoro che riflettono le principali aspettative connesse all’introduzione del Jobs Act: il tasso di occupazione, la percentuale di contratti a termine, il tasso di occupati tra i giovani nella fascia d’età 15-24, e quello di occupazione femminile. I paesi da cui siamo partiti nella costruzione del controfattuale sintetico sono tutti quelli attualmente nell’Unione europea.

Nei grafici (figura 1) si possono vedere le dinamiche degli indicatori appena elencati tra il 2003 e il 2019. La linea continua blu raffigura il dato reale per l’Italia registrato da Eurostat, mentre la linea a tratteggio lungo rosso scura rappresenta il suo controfattuale sintetico, cioè la migliore approssimazione possibile alle dinamiche pre-Jobs Act frutto della combinazione lineare pesata dei dati registrati per gli altri paesi dell’Unione.
Come si può vedere, prima del provvedimento del governo Renzi, segnalato dal tratto verticale, le due linee sono prossime e hanno andamenti molto similari, a segnalare la buona capacità del controfattuale sintetico di rappresentare il nostro paese (tecnicamente, di minimizzare l’errore quadratico medio della predizione RMSPE). Questo fa sì che ci siano sufficienti garanzie per interpretare la medesima linea negli anni dal 2015 in avanti come ciò che sarebbe avvenuto in Italia qualora il Jobs Act non fosse stato introdotto: il controfattuale che stavamo cercando per valutare gli effetti della politica.
I risultati: nel migliore dei casi, non ha funzionato
La linea del tasso di occupazione in Italia cresce sì a partire dal 2015, ma – come si vede in figura 1 nel grafico in alto a sinistra – lo stesso fa anche quella del controfattuale. Quest’ultima impenna anzi con un tasso di crescita superiore a quello reale, così da far desumere che il Jobs Act non solo non abbia favorito la ripresa, ma l’abbia al contrario frenata. Sui contratti a termine, che ci consentono di valutare il dualismo del mercato del lavoro, la situazione è anche peggiore. Il dato reale vede una crescita dei contratti a termine, quando il Jobs Act intendeva invece promuovere quelli a tempo indeterminato, mentre senza di esso la diffusione del lavoro temporaneo sarebbe rimasta abbastanza costante. Sul tasso di occupazione giovanile la politica di Renzi non ha avuto alcun effetto, come mostrato dalla prossimità prima e dopo il 2015 delle due linee nel grafico in basso a sinistra. Infine, l’occupazione femminile cresce nella seconda parte del decennio, ma senza Jobs Act sarebbe probabilmente cresciuta ancora di più.
I divari evidenziati fra le dinamiche reali e quelle del controfattuale sintetico potrebbero essere degli artefatti statistici della procedura utilizzata, per questo la metodologia prevede tutta una serie di cosiddetti test placebo che escludano tale possibilità. I nostri controlli confermano che, a distanza di 4 anni dall’introduzione del Jobs Act, le disparità sono statisticamente significative per quanto riguarda i primi due indicatori – tasso di occupazione e percentuale di contratti a termine – mentre non lo sono per i secondi due – occupazione giovanile e femminile. Anche su questi ultimi è tuttavia da escludere categoricamente che il Jobs Act possa aver avuto qualsiasi effetto positivo. Evidenze che non possono che alimentare ulteriori riflessioni sulle strategie di flessibilizzazione del mercato del lavoro, a partire da ipotesi divergenti presenti al riguardo in letteratura (per chi è interessato, più dettagli si trovano nell’articolo scientifico).
Per l’Italia, il panorama che ne risulta è tutto meno che confortante, soprattutto se raffrontato con le dichiarazioni, le attese, e i primi incoraggianti commenti. E anche con le aspettative di ricerca di almeno uno degli autori. È questo lo scherzo che possono tirare i controfattuali.