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- A. Pedrazzani, F. Zucchini (2020) ‘Useless approvals’. Italian bicameralism and its decisional capacity, THE JOURNAL OF LEGISLATIVE STUDIES, ISSN: 1743-9337
Approvare una legge in parlamento richiede tempo e risorse. Una volta proposto dai firmatari, un progetto di legge deve riuscire a infilarsi nel calendario dei lavori – talvolta molto fitto – per poi affrontare una complessa sequenza di passaggi nelle commissioni e in aula. Ciò richiede grande impegno da parte dei promotori, i quali cercano di assicurarsi l’appoggio di una maggioranza dei legislatori affinché il provvedimento superi tutte queste fasi e venga infine votato dall’assemblea. Quando il parlamento è articolato in due camere gli ostacoli raddoppiano: il testo licenziato da una parte deve essere approvato anche dall’altra – superando di nuovo gli stessi scogli – prima di entrare in vigore.
Dunque, se un ramo del parlamento si dedica ad approvare un testo che poi non sarà adottato dai colleghi dell’altra camera e che quindi non diventerà mai legge, si ha un notevole spreco di risorse. Eppure queste approvazioni “inutili” non sono rare nelle assemblee contemporanee, parlamento italiano compreso. Anzi. Il fenomeno desta stupore e merita un’analisi approfondita. D’altra parte, il fatto che una camera approvi (inutilmente) un progetto che poi non sarà adottato come legge può essere interpretato come un segno di inefficienza decisionale del parlamento nel suo complesso.
Come è possibile che si verifichino approvazioni inutili? Uno studio della Statale di Milano ha esaminato l’iter parlamentare di tutti i progetti di legge approvati almeno in prima lettura, cioè almeno in una camera, nel parlamento italiano tra il 1979 e il 2018. In dieci legislature – quarant’anni di vita parlamentare italiana – si tratta di oltre 5600 progetti di legge. È emerso che la struttura bicamerale del parlamento e le differenze tra le camere in termini di composizione partitica sono tra i principali responsabili di questo fenomeno. Vediamo perché.
Approvazioni “inutili”: perché succede
In un parlamento unicamerale non si verificano approvazioni inutili: tutto avviene nella singola assemblea senza spreco di risorse. Lo stesso accade nei parlamenti bicamerali dove la seconda camera ha meno poteri rispetto alla prima. Si pensi al parlamento del Regno Unito, dove gli atti approvati nel ramo elettivo dell’assemblea (i Comuni) non possono essere respinti dalla Camera dei Lord, ma solo eventualmente ritardati.
Ci sono ottime ragioni per ritenere che neanche in un parlamento “davvero” bicamerale – in cui cioè la seconda camera è forte quanto la prima o quasi – dovrebbero verificarsi approvazioni inutili. Supponiamo che i soggetti che agiscono in parlamento (singoli legislatori, partiti, governo) siano attori razionali. Se la seconda camera ha il potere di modificare e bocciare le decisioni prese dalla prima, gli attori che operano nella prima camera potrebbero anticipare strategicamente quello che succederà nella seconda e adottare un testo che sia accettabile anche per i colleghi che lo esamineranno un seguito. Se avessero tutte le informazioni su quello che accadrà nella seconda camera e se fossero interessati solo all’approvazione dei provvedimenti, i promotori del progetto di legge non avrebbero motivo di fare approvare inutilmente nella prima camera un testo che sarebbe poi modificato, respinto (o più semplicemente lasciato cadere) nella seconda camera. Sarebbe, appunto, uno spreco di risorse.
Eppure le approvazioni inutili si verificano, e non di rado. Nel parlamento italiano, dal 1979 al 2018, il 20 per cento dei provvedimenti approvati almeno dai deputati o dai senatori non si è mai tramutato in legge. In altre parole, un progetto su cinque è stato approvato (inutilmente) da una sola camera.
Due ipotesi spiegherebbero il fenomeno. In primo luogo, chi opera in una camera potrebbe non avere informazioni sufficienti per sapere come si comporteranno i soggetti che agiscono nell’altro ramo del parlamento. È cioè possibile che i promotori di un progetto di legge siano convinti che il testo approvato nella prima camera sia accettabile anche per la seconda, senza sapere che in quest’ultima quel progetto sarà invece emendato o respinto. In seconda battuta, chi promuove un’iniziativa legislativa potrebbe trarre vantaggio dal fatto di riuscire a fare approvare in una camera un atto che poi – lo si sa in anticipo – non vedrà mai la luce come legge. Così facendo si può comunque dimostrare ai propri elettori di avere fatto tutto il possibile per tradurre quell’atto (magari simbolico e particolarmente significativo) in legge.
Camere troppo diverse non vanno d’accordo
Le approvazioni inutili, dunque, non si verificano per caso. Si possono anzi spiegare anche immaginando che gli attori siano soggetti del tutto razionali. Ma a rendere più probabile che un testo sia approvato (inutilmente) da un solo ramo del parlamento concorre soprattutto un fattore: l’incongruenza politica tra le camere, ossia la differenza che si può venire a creare tra le due camere in termini di composizione partitica. Per effetto delle regole elettorali, accade che i partiti abbiano un peso diverso tra deputati e senatori. Succede persino che gli stessi partiti che formano la maggioranza a sostegno del governo in una camera non raggiungano la maggioranza dei seggi nell’altra. È capitato spesso in Italia nel corso della Seconda Repubblica.
Meno simili sono le due camere, più è difficile per i promotori di un provvedimento in una camera anticipare quello che succederà nell’altra. E meno simili sono i due rami, maggiori sono per un partito o un singolo parlamentare gli incentivi a sbandierare di fronte ai propri elettori un successo, anche se parziale (l’approvazione di un provvedimento in una sola camera). Camere molto diverse tra loro corrispondono dunque a un maggior numero di approvazioni inutili.
I progetti di legge più vulnerabili
I risultati dell’analisi sviluppata nell’ateneo milanese mostrano che i progetti di legge più vulnerabili – cioè maggiormente soggetti ad essere approvati in una camera ma non nell’altra – sono quelli esaminati nelle legislature in cui l’incongruenza tra le camere era elevata. Sono poi spesso associati ad approvazioni inutili i provvedimenti con contenuto ampio e complesso: quando il testo riguarda temi molteplici e materie sofisticate, per i promotori è difficile capire in anticipo come si comporteranno gli attori nella seconda camera. I disegni di legge governativi, al contrario, tendono ad essere molto meno vulnerabili delle proposte di origine parlamentare: l’esecutivo conosce meglio di un singolo legislatore o partito le preferenze presenti nelle due camere e non trarrebbe certo vantaggio dal proporre un testo che, dopo essere approvato da una camera, non venisse approvato anche dall’altra.
Il caso italiano: tante critiche e poche riforme
La struttura bicamerale del parlamento italiano è stata a lungo criticata da politici, studiosi e osservatori di vario genere. Quello italiano è un caso quasi unico, con due camere dotate di identiche prerogative nel processo legislativo e nel rapporto con il governo. Eppure, il bicameralismo italiano ha potuto contare su una folta platea di sostenitori in occasione del referendum sulla (fallita) riforma costituzionale del 2016, che si proponeva di superare la simmetria tra i due rami depotenziando il Senato. Secondo alcuni oppositori della riforma, la simmetria di poteri tra Camera e Senato non avrebbe conseguenze negative sull’efficienza del parlamento, in quanto non produrrebbe iter legislativi più lunghi rispetto ad altri paesi, né impedirebbe al governo di attuare il proprio programma. Secondo altri, la riforma proposta dall’allora governo Renzi avrebbe finito per indebolire non solo il Senato ma l’intero parlamento, a tutto vantaggio dell’esecutivo.
I risultati della ricerca della Statale contraddicono almeno in parte queste argomentazioni. Un parlamento simmetrico come quello italiano può infatti essere particolarmente inefficiente. Più Camera e Senato differiscono tra loro in termini di composizione partitica, più è complicato per qualsiasi attore fare approvare una legge in parlamento. L’incongruenza tra le camere, poi, penalizza soprattutto le proposte di legge parlamentari, quindi inficia la funzione di iniziativa legislativa del parlamento. Pur non essendo immune alle approvazioni inutili, infatti, il governo ha qualche strumento in più per difendere i propri provvedimenti. A ciò si aggiunga che l’incongruenza tra le camere rende particolarmente arduo approvare i provvedimenti più complessi, ossia proprio le riforme più invocate nel dibattitto pubblico. Infine, lo studio rimarca il ruolo chiave del sistema elettorale. Quando si congegnano nuove regole, è importante avere chiaro che essere potrebbero produrre due camere politicamente non omogenee tra loro. Il sistema elettorale in vigore ha prodotto due rami parlamentari molto simili tra loro nelle elezioni del marzo 2018. Ma che parlamento nascerà, e con che legge elettorale, dalla prossima chiamata alle urne, ora che il numero di parlamentari è stato ridotto – col referendum di settembre 2020 – e ognuno di loro, in particolare se senatore, conterà di più?