- Link al libro: Cremonini M., Fondamenti di Data Science - Python, R e Open Data, Egea Edizioni, Giugno 2023. ISBN/EAN: 9788823823501
Nonostante i decenni trascorsi da quando fu annunciato, l’obiettivo di insegnare le competenze informatiche nelle scuole e nell'Università non è stato raggiunto. Per spiegare questo fallimento sono state avanzate diverse chiavi di lettura che spaziano dalla mancata formazione degli insegnanti alla non competitività dei loro stipendi. Per rimediare, alcuni hanno suggerito l’adozione delle più recenti tecnologie didattiche, altri l’uso della gamification. Spiegazioni e terapie che non reggono a un’analisi più approfondita.
Un fallimento paradossale
Da un lato la formazione di carattere informatico stenta a decollare, anche in contesti che hanno una vocazione multidisciplinare consolidata e quindi abituati a integrare prospettive e conoscenze eterogenee; d’altra parte, è sempre più estesa e ininterrotta la diffusione delle tecnologie digitali e dei relativi servizi nella vita di tutti i giorni, nel mondo lavorativo e nel tempo libero. Una digitalizzazione che coinvolge sempre più mestieri, anche quelli originariamente meno tecnologici. E che finisce per influenzare stili di vita, economia, partecipazione civile e prospettive professionali. Una trasformazione che al tempo stesso preoccupa e genera benefici. Viene naturale chiedersi come sia possibile che persista un ritardo nella conoscenza diffusa e di base in una disciplina così rilevante per le nostre vite.
Forse perché alcune difficoltà fondamentali non hanno ricevuto la necessaria attenzione. Ecco quali.
Tra pratiche consolidate e pregiudizi
Il primo fondamentale problema è la settorializzazione. Si dà per scontato che le competenze informatiche siano possedute e quindi trasmesse da informatici esperti quasi esclusivamente ad altri informatici in formazione e solo raramente (peraltro in forma semplificata) ai non informatici. La conseguenza più evidente di questa forzata settorializzazione è l'isolamento culturale. La conoscenza è trasmessa solo all’interno di un ambito ristretto e codificato in prassi, attitudini e interscambi culturali. La tradizionale torre d'avorio. È raro che la formazione di un informatico preveda aperture culturali verso altre discipline se non per ragioni strumentali, in previsione di una funzione di supporto tecnico. Ed è ancora più raro che nell’insegnamento dell’informatica a non informatici vengano considerate a sufficienza le specificità dell'area culturale e professionale dei destinatari.
Una seconda criticità è la formalizzazione della qualifica di informatico. Informatico è formalmente uno specialista con appropriata certificazione posseduta solo per via curriculare. Questa definizione è una sorta di peccato originale che ha rafforzato lo storico isolamento della disciplina. In realtà il modo migliore e più efficace di acquisire competenze informatiche – anche di alto livello – è e rimane la pratica da autodidatta, indipendente dal percorso formativo pregresso. Pratica da autodidatta che ha peraltro permesso di sviluppare a gruppi di ricercatori e professionisti di discipline anche umanistiche – o comunque esterne alla disciplina informatica in senso stretto – competenze informatiche di alto livello.
Il terzo ostacolo è la tradizionale connotazione socio-culturale dei cultori della disciplina informatica: prevalentemente maschi che condividono una generica propensione allo scientismo e una fede nella tecnologia come risolutrice di qualsiasi problema. Per intenderci le figure stereotipate del nerd, geek o hacker. Questa forte connotazione ha consapevolmente promosso l’esclusione di chi non possedesse le suddette caratteristiche di genere e culturali, contribuendo a sua volta a rafforzare il pregiudizio che l'informatica "sia cosa da maschi" e la convinzione di molte studentesse di essere a priori "negate” per l'informatica.
Per neutralizzare questi problemi descritti non servono soluzioni preconfezionate. Adottare il più recente software per la didattica digitale non basta. Si deve adottare un nuovo approccio.
Che fare? Molte informatiche per tutti e tutte
Il primo passo di un nuovo approccio è il superamento della settorializzazione. L'informatica non appartiene a un settore ma è trasversale a molti, a tutti quelli che possono trarre benefici dalle competenze digitali. È quello che succede già ad altre competenze: quelle giuridiche, economiche, statistiche, che sono diffuse orizzontalmente tra un gran numero di discipline differenti. Allo stesso modo, le competenze informatiche non dovrebbero distribuirsi a pioggia a partire da un unico centro. Al contrario, le diverse discipline possono sviluppare le proprie competenze informatiche, la propria cultura digitale e tecnologica modellata in ampiezza e profondità sulle loro esigenze e sul loro stato dell'arte. Chi insegna competenze informatiche ai sociologi, per esempio, può essere un informatico, un sociologo o altro, ma deve in primo luogo conoscere in che modo i sociologi possono o potranno beneficiare di tali competenze senza ricorrere a supporti esterni. Lo stesso può valere per cultori di altre discipline come gli scienziati politici, gli economisti, gli esperti di organizzazione i medici, gli storici e gli artisti. Le competenze informatiche si diffondono orizzontalmente, non verticalmente, tranne in pochi casi estremamente specialistici. Ogni disciplina può già da oggi costituire un proprio nucleo di competenze digitali plasmato sulle specifiche esigenze, didattiche e di ricerca, raggiungendo livelli di eccellenza.
In secondo luogo un nuovo approccio deve riconoscere che gli studenti di scienze politiche e sociali, economia, management, etc. – sono in grado di acquisire competenze informatiche di livello almeno medio-alto senza necessariamente ricevere la lunga (quasi sempre tediosa) e largamente astratta formazione di base dell'informatica tradizionale. Possono imparare strumenti per scrivere codici, sfruttare la ricchezza dei sistemi open source, lavorare con dati, definire modelli, fino a progettare una parte visuale e comunicativa ben strutturata. Tutto questo è alla loro portata, se messi nelle condizioni di seguire un percorso formativo focalizzato e aderente al contesto culturale e professionale di riferimento. Nessuno studente di discipline umanistiche o di scienze sociali deve per forza diventare un informatico per poter acquisire buone conoscenze informatiche. Il livello e il tipo di competenze dipenderanno dal profilo professionale e dal corso di studi, ma già ora la maggioranza degli studenti di discipline umanistiche e di scienze sociali è in grado di acquisire notevoli competenze digitali a patto che non si impongano i tradizionali curriculum informatici, ma che, al contrario, le singole discipline sviluppino un proprio nucleo di strumenti, una propria “informatica”.
Serve infine rompere consuetudini e stereotipi culturali negativi stratificati e consolidati che riducono le possibilità di apprendimento di molti studenti e studentesse. Serve un’informatica davvero inclusiva. La tecnologia digitale non ha nulla che giustifichi una qualsivoglia forma di discriminazione all'ingresso. Non è un terreno esclusivo di giovani maschi pseudo ingegneri. Una disciplina umanistica o di scienze sociali che, come appena auspicato, definisse una propria informatica, contribuirebbe a rompere gli stereotipi descritti che al contrario permangono con l'informatica tradizionale.