Il virus si è insinuato nel sistema immunitario delle nostre democrazie, al pari di quanto accade nei nostri corpi. Come per le reazioni immunitarie nei casi clinici più gravi, le politiche di contrasto al virus spesso risultano tardive, sproporzionate e male indirizzate. Perché?
Gli esperti, i commentatori e gli studiosi si concentrano in queste ore su errori, disattenzioni, omissioni di politici nazionali e amministratori locali. I più teneri con le autorità denunciano confusione e incertezza, altri insinuano la difesa di interessi più o meno confessabili o l’assoluta incompetenza di chi guida le istituzioni. Governanti opportunisti, ignoranti e irrazionali. Sarà pur vero per alcuni, ma a guardar bene è davvero così per tutti (o quasi) i leader d'Europa?
E se – più semplicemente e tragicamente – le ragioni ordinarie e legittime del consenso democratico confliggessero con la politica più appropriata per sconfiggere il contagio?
Questione di tempo e di disallineamento
Due caratteristiche del virus sono cruciali per comprenderne gli effetti sui processi decisionali attivati per contrastarlo: il tempo necessario perché la sua presenza sul territorio diventi politicamente saliente e quello che basta, da quello stesso istante, per generare scarsità di posti nelle strutture ospedaliere e vanificare qualsiasi tentativo di tracciamento. Un tempo variabile, ma in genere lungo nel primo caso e brevissimo nel secondo.
Qualsiasi statistica racconta lo stato di diffusione della malattia in un momento di molto precedente al giorno in cui viene resa nota. Sono immagini sfocate e imperfette di una distribuzione del virus vecchia di circa dieci giorni. Data la natura non lineare della diffusione del contagio, all’inizio di un’ondata i numeri giornalieri dicono anche molto poco sulla probabile diffusione della malattia nelle giornate immediatamente a venire.
Chi governa – chi sta al timone – deve decidere la rotta mentre l’equipaggio conosce a malapena la posizione della nave nel passato (spesso senza neppure esserne consapevole, anzi convinto che la messe di dati profusi dai media sia una fedele rappresentazione della posizione corrente sulla mappa di navigazione). I governanti, nel migliore degli scenari possibili – non necessariamente il più probabile – hanno una percezione più accurata di quanto sta succedendo e succederà, ma non hanno prove condivisibili con i governati che il peggioramento avrà davvero luogo.
La prova deve essere poco confutabile, fare paura, spingere cittadini, imprese e burocrazie ad accettare sacrifici, a riorganizzarsi, a mutare abitudini e routine. I costi legati a questi cambiamenti non sono uguali per tutti e al loro crescere aumenta anche la propensione a rifiutare ogni evidenza contraria ai propri interessi.
La prevenzione: una trappola per chi governa
Se il governante decide a favore di misure relativamente drastiche, a fronte di una situazione non ancora percepita come grave da un numero congruo di persone, corre due rischi politici opposti. Il primo è che la bassa percezione del rischio rispetto ai costi certi connaturati a quelle contromisure spinga troppi cittadini, imprese e burocrazie a non adeguarsi o a fingere di farlo. La coercizione, in presenza di una mole troppo grande di trasgressori, fallisce. I provvedimenti presi risultano inefficaci, la situazione peggiora – proprio come era previsto accadesse senza quelle misure – e i governanti perdono credibilità.
Il secondo rischio è, paradossalmente, riuscire nel proprio intento. Gran parte degli attori rilevanti per il successo di quelle misure si adegua alle indicazioni dei governanti, il contagio si mantiene stabile. Tutto bene allora? Non per i governanti. Parafrasando un celebre adagio di George Bernard Shaw, esistono due tragedie nella vita di un politico al tempo della epidemia: fallire nella realizzazione della prevenzione e riuscirci.
La mancata diffusione del contagio è un buon argomento politico per le opposizioni (esistono sempre opposizioni in democrazia) per accusare i governanti di avere inutilmente e costosamente esagerato. In fondo non è successo quel che si temeva, ma nel frattempo sono state limitate libertà fondamentali e si sono inferti colpi più o meno mortali a interi settori economici.
Infatti, mentre è semplice accusare qualcuno per qualcosa che è accaduto, è molto più difficile essere grati per qualcosa che non avviene. L’epidemia che non peggiora è un non evento, mentre le sofferenze per le misure prese gridano da ogni dove.
Vedere per credere
Meglio allora per i governanti aspettare che la percezione del rischio nei governati peggiori abbastanza da far accettare il costo delle misure da prendere. Meglio far vedere il peggioramento. Farlo peggiorare. Eppure, se senza un peggioramento visibile era politicamente troppo presto intervenire, ora potrebbe essere troppo tardi.
All’inizio dominano l’incertezza e le mezze misure. Poi diventa chiaro che provvedimenti che sarebbero apparsi troppo onerosi pochi giorni prima ormai non sono più sufficienti. Alla fine, le decisioni saranno tardive e smisurate, ma fondate sulla percezione – finalmente condivisa da abbastanza cittadini, imprese e burocrazie – della loro necessità improcrastinabile.
I costi umani ed economici del tempo perduto saranno enormi, ma nascosti nelle pieghe di un’oscura analisi controfattuale che sfugge ai più e che forse nessuno ha più tempo e voglia di fare.