Link all’articolo scientifico:
- Matteo C.M. Casiraghi (2021). ‘You’re a populist! No, you’re a populist!’ The rhetorical political analysis of a popular insult in the UK 1970-2018, British Journal of Politics and International Relations.
Per alcuni è un’ideologia chiara, per altri uno stile politico aggressivo. Un’attitudine retorica, oppure semplice demagogia. Ma anche – perché no – sinonimo di nazionalismo. Cos’è il populismo? Poche altre domande hanno ricevuto tanta attenzione da parte degli scienziati politici nell’ultimo periodo: “populismo” è la buzzword – il termine in voga – del decennio.
L’accademia dibatte da tempo su quale sia la natura del fenomeno politico e sulle caratteristiche dei discorsi populisti, ma in fondo sono i politici che usano il termine populismo in Parlamento e – usandolo – lo definiscono. Viene da chiedersi perché alcuni politici lo qualifichino in maniera fortemente negativa mentre altri, al contrario, ne evidenzino aspetti positivi. Che cosa induce alcuni politici (ma non tutti) a usare il populismo come arma retorica per stigmatizzare il comportamento dei propri colleghi?
Dalla Brexit all’immigrazione, la parola ai politici oltremanica
Il Regno Unito, per provare a rispondere a questi quesiti, è un caso studio interessante: lì temi populisti come la giustizia, la Brexit e l’immigrazione hanno dominato il dibattito politico non solo in epoche recenti. Uno studio dell’Università Statale di Milano ha preso in esame tutti i discorsi parlamentari che menzionano il termine populismo dal 1970 al 2018, analizzando le categorie retoriche e concettuali utilizzate dai politici britannici per definire il populismo, gli aggettivi associati al termine, gli argomenti trattati nei dibattiti, la presenza di attacchi retorici diretti. E se il populismo viene caratterizzato con toni negativi, neutrali o positivi.
Fino al Duemila il populista è vario ma semplice
È emerso che il populismo è cresciuto nel tempo, rivelandosi di anno in anno una parola sempre più presente nel dibattito. E al crescere della rilevanza, si è diffusa anche l’accezione negativa. (Figura1). Quindi, mentre fino a fine anni ’90 non mancano le descrizioni positive – o quantomeno neutrali – del populismo, negli ultimi 20 anni i politici convergono verso un’interpretazione marcatamente negativa. Una negatività che, tuttavia, assume forme diverse a seconda del periodo e di chi parla. Dagli anni ’70 fino al primo decennio del 2000, il populismo viene descritto e usato in maniera piuttosto varia – il populista è scadente, semplice, nazionalista, irresponsabile – e i politici lo interpretano soprattutto come una strategia politica o ideologia che oppone gli interessi del popolo a quelli di una supposta élite economico-politica. Il quadro cambia radicalmente nell’ultimo decennio, quando il populismo viene identificato in maniera sempre più forte con il nazionalismo, il razzismo e il supposto opportunismo politico della destra. Nel caso britannico sono il Partito Conservatore e lo UKIP a essere accusati di sfruttare in maniera populista, per il proprio tornaconto politico, le crisi economiche e sociali che hanno colpito il Paese (Tabella 1). Come si evince dalle parole e dalle categorie di riferimento più frequenti nei diversi periodi, il populismo non è più solo una strategia demagogica per conquistare voti facili, ma un fenomeno complesso, un concetto così fluido da poter essere usato a livello retorico a proprio piacimento. I parlamentari inglesi, quindi, scelgono dal ricco menù concettuale che il populismo offre le caratteristiche che più si prestano a essere usate per contestare le attitudini politiche degli avversari.
Da anti-casta a nazionalista
Un’analisi quantitativa dei dibattiti tra il 2015 e il 2018, cioè da quando i primi parlamentari dello UKIP sono entrati nel parlamento britannico e il tema della Brexit ha dominato gran parte del dibattito, fornisce ulteriori dettagli rilevanti. In questi quattro anni, la sinistra britannica – vale a dire il Partito Laburista e i Liberal-Democratici – ha cercato di appropriarsi a livello retorico del termine, con valenza negativa, accusando sistematicamente la destra di cavalcare l’onda populista su temi come il crimine e la Brexit. I laburisti hanno spinto per definire il populismo come sinonimo di nazionalismo, opportunismo e persino razzismo. Ecco quindi che nell’interpretazione della sinistra laburista e liberal-democratica, il populismo non è più un’ideologia che contrappone popolo ed élite, ma una specifica caratteristica della destra – britannica e non solo – identificata come nazionalista e opportunista.
I modelli quantitativi presentati nello studio confermano infatti che più un partito si colloca sulla sinistra dello spettro politico ideologico, più i suoi parlamentari tenderanno a caratterizzare negativamente il populismo e a usarlo come arma retorica per stigmatizzare i propri avversari. Questo discorso vale in particolare in riferimento allo stretto legame tra populismo e nazionalismo (almeno nell’interpretazione della sinistra britannica).
Tra ideologia e strategia: opposizioni accusanti e conservatori ambigui
Oltre alla variabile ideologica, anche gli incentivi strategici contano: i parlamentari che siedono all’opposizione tendono verso una caratterizzazione maggiormente negativa del populismo. E ricorrono più spesso ad attacchi retorici diretti per contestare il governo. Due tendenze che aumentano anche all’avvicinarsi delle tornate elettorali, momenti chiave in cui i politici sono certamente incentivati ad accusare i propri avversari di essere populisti.
Dall’altro lato del parlamento, l’atteggiamento del Partito Conservatore si mantiene più ambiguo. Molti suoi parlamentari definiscono di continuo il populismo come qualcosa di negativo. Lo ripetono in frasi retoriche per attaccare la sinistra, per esempio argomentando che un approccio soft al tema dell’immigrazione o del crimine costituisce anch’esso un comportamento esecrabile e populista. Altri politici conservatori – un numero che aumenta dopo che Boris Johnson ha assunto la guida del partito – reinterpretano invece il populismo in chiave positiva, evidenziando come attitudini populiste avvicinino la politica ai veri (o presunti tali) bisogni del popolo britannico. La leadership di Johnson segna un punto di svolta fondamentale per il dibattito sul populismo: i suoi continui riferimenti a temi quali “rendere di nuovo grande il Regno Unito”, “riprendersi la propria fetta di torta” (in polemica con i fondi che il Regno Unito versava all’Unione Europea) e al contrasto dell’immigrazione, hanno generato due importanti sviluppi. Da una parte queste attitudini hanno portato la sinistra a usare sempre più il populismo per contestare le posizioni di Johnson e del Partito Conservatore. D’altro canto, molti conservatori hanno deciso di seguire il proprio leader, abbracciando tali posizioni dichiaratamente populiste e cercando di darne un’interpretazione positiva o quantomeno pragmatica.
Un test di concretezza
Indagare l’uso retorico del populismo in parlamento offre quindi una nuova prospettiva per testare gli argomenti degli accademici sulla natura del populismo, argomenti che spesso si collocano a livelli di astrazione molto alti. Nella competizione politica quotidiana, il populismo diventa invece un oggetto retorico strategico molto utilizzato, da una parte per contestare supposte politiche nazionaliste e opportuniste, dall’altra per difendere il proprio operato in parlamento e fregiarsi del titolo di difensori o avvocati del popolo. L’analisi dello sviluppo più concreto, a livello retorico, del dibattito sul populismo, può rappresentare un importante test per verificare se le teorie sviluppate in questi anni sulle varie manifestazioni politiche del populismo trovino o meno un riscontro nella pratica quotidiana del dibattito parlamentare. Nuovi studi specifici su altri paesi e momenti storici potranno confermare o smentire i fattori che, almeno nel Regno Unito, sembrano spiegare il ricorso retorico al populismo e le sue differenti caratterizzazioni.