Link all'articolo scientifico: Donati N.,"The Evolution of Cohesion Policy from an Inter-Territorial Solidarity Perspective: An Empirical Analysis", il Mulino, 2018.
La politica di coesione dell’Unione europea è stata creata nel 1988 per dare alle regioni europee la possibilità di sviluppare le proprie economie, contribuendo così alla convergenza economica tra i territori Ue. Negli anni, però, è cambiata, fino a perdere la propria identità. Ecco come.
Che cos’è (o era) la politica di coesione Ue
All’origine, la politica di coesione dell’Unione europea si poneva il compito di affrontare gli squilibri economici e sociali creati dal processo di integrazione europea, in particolare quelli emersi a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta con l’istituzione del Mercato unico e dell’Unione economica e monetaria (Uem). Dalla sua creazione, la politica di coesione è stata riformata quattro volte, aggiungendo ogni volta nuovi obiettivi e strumenti di policy. Questa stratificazione di provvedimenti ha reso difficile anche per gli studiosi definire in che cosa consista davvero la politica di coesione e come sia cambiata.
La protezione reciproca tra bisogni, risorse e condizioni
Per comprendere l’evoluzione della politica di coesione europea può essere utile rifarsi al concetto di solidarietà interterritoriale – solidarietà tra popoli – tipica delle cosiddette “comunità di destino comune”. Questa solidarietà consiste in una qualche forma di protezione reciproca da incidenti e perdite non deliberate. È più debole della solidarietà nella medesima popolazione, che si basa spesso su un’identità collettiva condivisa. Ciononostante, “se una delle comunità versa in uno stato tale da renderla bisognosa, può essere richiesto l’esercizio di solidarietà tra comunità”.
Questa protezione reciproca può essere scomposta in tre elementi costitutivi. C’è il bisogno, che va a definire chi debba ricevere assistenza e quindi i criteri di eleggibilità. Ci sono le risorse, che determinano cosa debba essere condiviso tra i partecipanti, cioè la capacità redistributiva. Poi viene la condizionalità, che stabilisce a che condizioni sia possibile esercitare solidarietà. I legami solidaristici che le “comunità di destino” intrecciano sono spesso basati su obblighi allo stesso tempo reciproci e asimmetrici.
L’allargamento del 2004 cambia le carte in tavola
Criteri di eleggibilità, capacità redistributiva e condizionalità sono altrettante dimensioni attraverso le quali possiamo leggere l’evoluzione della politica di coesione europea durante il periodo 1988-2013. Per quanto riguarda la prima dimensione, i criteri di eleggibilità sono rimasti formalmente inalterati: l’assistenza alle regioni meno sviluppate è accordata a quelle regioni il cui Pil pro capite è al di sotto del 75 per cento della media Ue. Ciononostante, l’allargamento a Est del 2004, abbassando la media Ue, ha “migliorato” lo status relativo della maggior parte delle regioni sud europee, rendendo così più difficile l’accesso alle risorse previste dalla politica di coesione a regioni assistite in precedenza. Le regole non sono state aggiornate quando il contesto è cambiato: questo ha creato un “effetto statistico” che ha allontanato la politica dal suo obiettivo originario.
Rispetto alla capacità redistributiva, inizialmente (1988-1999) sussisteva una relazione inversa tra le allocazioni della politica di coesione e il Pil pro capite medio: la politica era altamente redistributiva. Anche in questo caso, verosimilmente, è stato l’allargamento del 2004 a scompaginare le carte: la Commissione, decidendo di attutire l’effetto statistico che avrebbe svantaggiato le regioni del Sud Europa, ha accordato, attraverso disposizioni transitorie, alle regioni eleggibili dell’Est Europa l’85 per cento delle allocazioni che avrebbero ricevuto altrimenti. In questo modo, ampie risorse sono state destinate a regioni più ricche, se comparate alle regioni “nuove” che si sono create con l’allargamento dell’Unione.
Nel 1988 la politica di coesione era lo strumento che avrebbe permesso alle regioni del Sud Europa di competere a piè pari nel Mercato unico. Con il tempo, la politica è stata riadattata in uno strumento di convergenza economica per integrare gli stati Est europei nel tessuto economico dell’Europa occidentale. Questa trasformazione ha comportato però involontariamente una riduzione delle capacità redistributive della politica: risorse insufficienti sono state spalmate su un territorio più ampio, rendendo la politica di coesione uno strumento meno adeguato nel correggere le distorsioni prodotte dall’integrazione dei mercati. Nel 2013, con la fine delle disposizioni transitorie, le capacità redistributive hanno nuovamente iniziato a crescere, pure se a livelli più bassi rispetto alle fasi iniziali della di questa stessa politica.
Cambiano anche le regole del gioco
Infine le condizionalità che accompagnano la politica di coesione sono notevolmente aumentate nel tempo. Nelle sue fasi iniziali, la regolazione della politica di coesione conteneva principalmente condizionalità endogene: condizioni che definiscono la logica interna della policy (ad esempio il monitoraggio rispetto al corretto uso dei fondi). In anni recenti la politica di coesione ha invece incluso un numero sempre maggiore di condizionalità esogene, che servono obiettivi esterni rispetto alla policy stessa.
La condizionalità macroeconomica consente di sospendere i fondi allo stato membro che infranga deliberatamente le regole fiscali Uem. La condizionalità ex ante stabilisce un legame tra i fondi e le sezioni tematiche di Europa 2020, facendo della politica di coesione uno strumento per perseguire i fini della strategia globale Ue.
Mentre nel 1988 la governance della politica di coesione garantiva discrezionalità alle regioni nello stabilire come creare sviluppo economico, ora le decisioni sembrano essere vincolate a obiettivi di natura globale. In questo modo, la politica di coesione è meno un fine in sé, e più un mezzo per il raggiungimento della stabilità economica e politica della Ue.
Sfide nuove con strumenti vecchi, così si perde di vista l’obiettivo
Le istituzioni Ue non sono state capaci di riformare alcuni degli strumenti più importanti della politica di coesione: il cambiamento istituzionale ed economico che ha fatto seguito all’allargamento a Est ha cambiato il funzionamento pratico dei criteri di eleggibilità e la capacità redistributiva della policy, contraddicendone gli obiettivi originali. In particolare, i criteri di eleggibilità sono diventati più restrittivi a causa dell’effetto statistico conseguente all’allargamento.
L’ingresso di nuovi Paesi, mediamente più poveri, ha reso più difficile per le regioni arretrate degli altri accedere alle risorse della politica. La soluzione adottata – la creazione di un periodo transitorio di compensazione per le regioni UE15 che tradizionalmente ricevevano i fondi – ha creato però distorsioni in termini di capacità redistributiva della politica di coesione. Troppa dispersione di risorse.
D’altro canto, la politica di coesione sembra essere sempre più legata alla razionalità sostantiva e agli obiettivi di altre politiche Ue: la presenza, sempre più invadente, di condizionalità esogene ha relegato la politica di coesione al ruolo di ancella dell’Unione economica e monetaria e subordinata alla strategia globale europea, degradandone così la ragion d’essere.