Link all’articolo scientifico:
Controllare richiede tempo. Per questo il Consiglio di Stato, che ha il compito di verificare in via preventiva la legalità dei regolamenti governativi, è spesso criticato nell’esercizio delle sue funzioni: fa accumulare ritardo nell’adozione dei regolamenti. Eppure in certi casi il controllo time-consuming del Consiglio di Stato si rivela conveniente per gli attori politici. Ecco perché.
Il “secondo tempo” delle leggi
Il lavoro nelle commissioni parlamentari e l’approvazione in aula di una legge, non è che il “primo tempo” di un iter assai più lungo. Dopo le leggi devono essere implementate attraverso la normazione secondaria: un passaggio importante, anche se meno studiato. È questo il secondo tempo delle leggi.
Nel “secondo tempo” delle leggi, i ministeri – singolarmente o attraverso procedure di concerto inter-ministeriale – adottano gli atti amministrativi necessari a produrre nella realtà gli effetti auspicati dalle leggi. Le leggi più importanti rimandano a numerosi decreti attuativi, la cui approvazione nei tempi prefissati non è affatto scontata. I regolamenti, che sono una tipologia molto importante di decreti attuativi, richiedono una sorta di procedura rafforzata per essere approvati, con verifiche preventive di legittimità effettuate da organi giurisdizionali e di controllo. Qui entra in gioco il Consiglio di Stato.
Diversi commentatori e attori politici non mancano di sottolineare come il controllo preventivo di legalità del Consiglio di Stato rallenti la procedura di approvazione dei regolamenti. Il contributo di tale “causa esterna” alla lentezza nell’implementazione delle leggi compare anche in alcuni report governativi. Il confronto fra tempi di approvazione di regolamenti e decreti non regolamentari – ovverosia decreti attuativi sostanzialmente equivalenti ai regolamenti, ma che non richiedono il parere del Consiglio di Stato per essere approvati – conferma quanto stigmatizzato dai commentatori: i regolamenti richiedono fino al triplo del tempo per essere licenziati dal governo.
TABELLA 1 – Tempo di approvazione dei regolamenti e decreti non regolamentari. Mediana del numero dei giorni che separa la data della legge e dei regolamenti e decreti. Raccolta dati dal sito Leggi d’Italia (1988–2014). Tipi di atto: D.M., D.P.R., D.P.C.M., sono esclusi gli atti che derivano da leggi precedenti al 1988. Numero totale osservazioni: 1.140
Il controllo preventivo, amico dello status quo
Non stupiscono allora le aspre critiche rivolte al Consiglio di Stato da alcuni attori politici, che sono arrivati a proporne l’abolizione. Eppure nessun governo è mai riuscito nell’intento di cancellare il Consiglio di Stato, anzi: quest’organo si conferma una delle istituzioni più longeve del nostro sistema politico. Ha svolto, sin dall’Italia liberale, un ruolo fondamentale di garante della continuità dell’azione amministrativa. Tale caratteristica, nelle ampie e frastagliate coalizioni di governo dell’Italia repubblicana, ha incontrato l’interesse delle forze politiche più propense a conservare lo status quo.
Queste ultime – se dall’implementazione di nuove leggi non ottengono grandi vantaggi o rischiano persino di uscirne danneggiate – possono trovare nei ritardi nel processo di adozione dei regolamenti un valido alleato: meglio che un regolamento non sia mai emanato piuttosto che intaccare un confortevole status quo. In questi casi il controllo time-consuming del Consiglio di Stato è molto apprezzato dagli agenti politici.
Al contrario, se le forze politiche al governo spingono compatte per modificare in modo sostanziale lo status quo, il controllo preventivo di legalità del Consiglio di Stato diviene assai meno desiderabile. Questa seconda situazione si verifica quando ha luogo una piena alternanza tra forze politiche alla guida del governo.
L’analisi empirica mostra che la probabilità che i governi adottino un regolamento invece di un decreto non regolamentare – atto amministrativo che consentirebbe di evitare, di fatto, il parere obbligatorio del Consiglio di Stato – aumenta al crescere della divisione fra i partner di governo sulle politiche da adottare. Al contrario, quando al governo del Paese si insediano partiti tutti di colore diverso dai partiti del governo precedente (e dunque quando i nuovi arrivati sono particolarmente propensi a modificare l’eredità dei predecessori) a parità di condizioni la probabilità di adottare un regolamento decresce del 55 per cento. Se sai cosa cerchi e cerchi il cambiamento, eviti i regolamenti.
Il metodo e le variabili: eterogeneità e alternanza governativa
Per giungere a questi risultati, ci si è basati su dati circa regolamenti e decreti non regolamentari emanati fra il 1988 e il 2014 da cinque ministeri: Interno, Giustizia, Difesa, Economia e Finanze, Istruzione e Università. Nessuno di loro è stato coinvolto dalle modifiche del riparto della potestà regolamentare introdotta dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Le variabili politiche – eterogeneità e alternanza governativa – sono state costruite in due modi diversi ma egualmente plausibili. L’eterogeneità è stata misurata sia considerando il numero di partiti al governo, sia la distanza fra i partiti al governo lungo più dimensioni di policy (intervento dello Stato nell’economia, decentramento amministrativo, estensione dei diritti civili, tutela dell’ambiente), (Tsebelis e Chang, 2004). L’alternanza è stata misurata sia considerando la proporzione di partiti al governo precedentemente all’opposizione, sia la distanza lungo le succitate dimensioni di policy di un determinato governo dal suo predecessore.
Nell’accertare il peso di alternanza ed eterogeneità governativa si è tenuto conto di vari fattori. Innanzitutto l’ambito di policy in cui ricade l’atto e l’eventuale presenza nel ministero di consiglieri di Stato con incarichi direttivi. In quest’ultimo caso, infatti, il ministro potrebbe avvalersi del loro controllo preventivo al posto del controllo del Consiglio di Stato.
C’è da dire poi che il contenuto di un atto non può essere in genere modificato da un atto di natura diversa, pertanto alcuni atti amministrativi potrebbero essere regolamenti perché destinati a modificare altri regolamenti. Anche il fatto che l’atto derivi da una legge approvata da un governo precedente di colore opposto pesa (con l’aspettativa, in questo caso, che i governi siano più propensi a sottoporre al vaglio del Consiglio di Stato provvedimenti su cui hanno meno informazioni).
In ultimo, il prestigio del ministro proponente, con l’aspettativa che i ministeri con a capo ministri con all’attivo almeno un’esperienza di governo abbiano meno bisogno di rifarsi al parere del Consiglio di Stato per redigere gli atti.