Link agli articoli scientifici:
- Carlo Burelli, “Una Politica che Funzioni”, in corso di stampa. Open access.
- Carlo Burelli, “Political Normativity and the Functional Autonomy of Politics”, European Journal of Political Theory.Open access .
- Carlo Burelli, “A Realistic Conception of Politics: Conflict, Order and Political Realism”, Critical Review of International Social and Political Philosophy. Open access .
Sessantasei esecutivi in 75 anni di Repubblica italiana, e solo due di essi sono durati un’intera legislatura. Numeri che mostrano come la recente crisi di governo, che ha chiuso la seconda esperienza di Giuseppe Conte alla guida del Paese, seppur straordinariamente grave – scoppiata durante una pandemia, mentre negli ospedali si contano ancora centinaia di morti ogni giorno per Covid-19 e tutta la Penisola è alle prese con conseguenze economiche devastanti – non abbia nulla di sorprendente. È, piuttosto, l’ennesimo esempio di un sistema istituzionale progettato per generare esecutivi politicamente deboli. E la riprova che siamo talmente concentrati sul giudicare i (presunti) valori morali che animano gli inquilini di Palazzo Chigi, da dimenticare una caratteristica cruciale di ogni governo: la sua funzione.
Indipendentemente da virtù e demeriti dell’era Conte, infatti, la crisi è stata innescata da una forza politica minoritaria, Italia Viva, che comprende 18 senatori ed è stimata dai sondaggisti attorno al 2%. Una circostanza non nuova dal 2 giugno del 1946 a oggi.
Occasionalmente le maggioranze in carica, sia di destra che di sinistra, hanno riconosciuto questo problema e hanno proposto varie riforme per porvi rimedio. Subito dopo le opposizioni, sia di sinistra che di destra, hanno gridato all’autoritarismo e bloccato tali riforme. L’ultimo di questi tentativi falliti fu ironicamente portato avanti proprio da Matteo Renzi – allora leader del Partito Democratico e oggi fondatore di Iv, che ha orchestrato il declino del Conte bis – e venne combattuto tenacemente da diversi esponenti dello stesso Pd, che oggi esultano per l’insediamento di Mario Draghi ma fino all’altro ieri definivano Renzi un irresponsabile.
La politica serve proprio dove c’è crisi e conflitto
Un problema di fondo è la mancanza di consapevolezza della funzione vitale che svolge la politica. Per molti cittadini, di meno cose la politica si occupa e meglio è. Soprattutto in caso di profonde divisioni, si ritiene spesso preferibile che la politica non decida affatto e rimanga in attesa di una futura, miracolosa concordia. La politica, tuttavia, serve proprio a emettere decisioni collettive e vincolanti, nonostante il radicale disaccordo su quali queste debbano essere. È una funzione che la politica deve svolgere, pena il lento ma inesorabile sfaldamento della società di fronte alle innumerevoli crisi che la minacciano di volta in volta.
Perché le funzioni sono importanti? Secondo la concezione eziologica, le funzioni sono proprietà speciali che spiegano l’esistenza del portatore della funzione con riferimento alla sua storia. I cuori, ad esempio, hanno diverse caratteristiche: pompano il sangue, emettono rumore di battiti e sono di colore rossastro. Solo la prima è una funzione propriamente detta, perché spiega la causa dell’esistenza dei cuori attraverso la selezione naturale. Se non pompassero il sangue, i cuori non esisterebbero (e noi con essi). L’emissione di rumore di battiti e il colore rossastro sono invece proprietà accidentali: cuori silenziosi o bluastri potrebbero essere perfettamente funzionali, se fossero in grado di pompare il sangue.
Se non funziona non vale niente
L’attribuzione di una funzione consente anche di fondare alcuni giudizi di valore. Pompare il sangue è qualcosa che tutti i cuori dovrebbero fare, non qualcosa che tutti i cuori di fatto fanno. Un cuore che non riesce a pompare il sangue è un “cattivo” cuore, che richiede di assumere appositi farmaci e, nei casi più estremi, di sostituirlo con una pompa meccanica. Stesso discorso vale anche nel mondo sociale. La funzione di un esercito è l’esercizio della coercizione istituzionale organizzata. Un esercito incapace di svolgere questa funzione va riformato.
Ma quale sarebbe esattamente la funzione della politica? Una funzione chiave della politica, dicevamo, è l’emissione di decisioni collettive e vincolanti, a dispetto di potenziali disaccordi su quali esse debbano essere. Tale funzione deriva da un problema strutturale della natura umana. Da un lato, gli esseri umani non sono in grado di sopravvivere individualmente e hanno bisogno dei loro simili con cui cooperare. Dall’altro lato, essi rimangono sempre liberi di agire contro il gruppo sociale in cui si ritrovano: dunque la cooperazione – di cui hanno comunque un bisogno vitale – è perennemente minata da potenziali conflitti. Per dirla con una analogia, siamo diversi dagli orsi, che sono perfettamente in grado di sopravvivere individualmente, ma siamo anche diversi dalle api, che non possono mai agire contro il bene dell’alveare.
Non solo la politica è necessaria a disarmare i conflitti interni, ma ogni gruppo umano è ripetutamente minacciato anche da shock esterni come guerre, cataclismi naturali, carestie e (ahinoi) pandemie e crisi economiche. Tutti questi casi richiedono risposte organizzate e rapide da parte dell’intero gruppo umano. Se queste non vengono date, il rischio è il dissolvimento del gruppo. Non sarà necessariamente immediato, ma ogni crisi non adeguatamente gestita renderà quelle successive sempre più drammatiche e potenzialmente letali.
È la stabilità che permette il cambiamento
Un tale deficit di funzionalità politica è quello che dagli addetti ai lavori è definito “fallimento di stato sofisticato”. Si dicono falliti tout court quei Paesi che non sono in grado di esercitare il monopolio della forza legittima, dove dunque la polizia e l’apparato giuridico non sono in grado di far rispettare l’ordine costituito. Un fallimento di stato sofisticato, al contrario, indica quei Paesi dove l’ordine viene mantenuto anche in modo efficiente dallo Stato, ma il suo vertice non è più in grado di prendere decisioni che ne modifichino l’attuale organizzazione. In questo caso, l’ordine esibito è solo temporaneo e apparente. Appena le contingenze muteranno a sufficienza, le crisi si accumuleranno e l’ordinaria amministrazione non basterà a preservarne la stabilità.
Potrebbe sembrare che un simile discorso porti a una visione statica o conservatrice dell’esistente. Al contrario, la presenza di istituzioni politiche in grado di selezionare decisioni collettive vincolanti è un prerequisito essenziale di qualunque cambiamento. È proprio l’assenza di capacità decisionale che porta l’Italia a trascinarsi dietro i suoi problemi, accumulandone di nuovi senza liberarsi dei vecchi.
Spesso riteniamo che le istituzioni politiche debbano essere valutate alla luce di alti valori morali quali eguaglianza, libertà, giustizia. Si tratta senza dubbio di valutazioni importanti. Tuttavia, realisticamente, prima di considerare se e in che misura le nostre istituzioni rispettino questi valori, dovremmo preoccuparci che siano in grado di svolgere bene il loro compito. Come un cuore che non pompa il sangue, o un esercito che non sa combattere, una politica che non decide è disfunzionale.