Link agli articoli e libri scientifici:
Betz Hans-Georg (2017) Nativism Across Time and Space, Swiss Political Science Review 23(4): 335–353.
Betz Hans-Georg (2018)”Populist mobilization across time and space” in (Kirk A. Hawkins, Ryan E. Carlin, Levente Littvay, Cristóbal Rovira Kaltwasser eds) The Ideational Approach to Populism.Concept, Theory, and Analysis, 1st Edition, Routledge.
Betz Hans-Georg (2019) Facets of nativism: a heuristic exploration, Patterns of Prejudice, 53:2.
Trent’anni fa cadeva il Muro di Berlino, e con esso anche il regime comunista che dall’inizio della Guerra Fredda teneva lo “stato degli operai e dei contadini” della Germania Est in una morsa d’acciaio. Un anno dopo, i due stati tedeschi si riunificavano, e gli animi erano tanto euforici da spingere il cancelliere Helmut Kohl alla famosa promessa secondo cui le regioni della Germania orientale si sarebbero trasformate in “paesaggi fiorenti” (blühende Landschaften).
Trent’anni dopo, gli umori sono decisamente meno eccitati ed entusiastici. Dover prendere atto della realtà costringe a una riflessione amara: le cose nell’est del Paese non sono andate così bene come ci si aspettava. E con l’exploit dell’estrema destra in quasi tutte le regioni orientali, questi sentimenti hanno assunto una rinnovata importanza.
Fin dalla costituzione della Repubblica Federale nel 1949, era convinzione diffusa tra la classe politica del Paese che nella nuova democrazia non ci sarebbe stato posto per l’estremismo di destra. E nonostante qualche successo occasionale dei partiti di estrema destra, soprattutto il Npd e i Republikaner, il consenso democratico ha retto piuttosto bene. Mentre negli ultimi decenni la maggior parte delle democrazie occidentali ha dovuto fronteggiare sfide importanti da parte della destra populista radicale, la Germania si è rivelata a lungo sostanzialmente immune alla tentazione populista.
Dalle elezioni federali del 2017 non è più vero. Per la prima volta dal 1949 – anno in cui l’estrema destra ottenne cinque seggi nel Bundestag appena costituito – un partito di estrema destra ha fatto il suo ingresso in parlamento, presentandosi come l’“alternativa per la Germania” (AfD). L’AfD ha guadagnato consenso in tutta la Germania, ma in nessun’altra area del Paese tale consenso ha eguagliato quello ottenuto nella parte orientale; nelle elezioni regionali tenutesi nel 2019 nel Brandeburgo, in Sassonia e in Turingia, l’AfD ha confermato i risultati ottenuti nel 2017, infliggendo un duro colpo ai partiti maggiori più tradizionali.
L’impressionante successo del populismo di estrema destra nella parte più orientale del Paese può essere attribuito ad una pluralità di cause. Ironicamente, quella economica non è la principale. Certamente, l’ex-Germania est non si è mai trasformata in un paesaggio fiorente: nel complesso, le regioni orientali sono rimaste strutturalmente povere e marginali nell’economia tedesca, e anche dopo trent’anni continuano a rimanere indietro rispetto a quelle occidentali. In anni recenti, il Pil pro capite all’est è rimasto stagnante, pari a circa il 75 per cento di quello dell’ovest. Le ragioni di un andamento così lento devono essere ricercate, tra le altre cose, in un declino delle capacità di innovazione così come nell’assenza di grandi imprese nella regione. Ma ancora più importante è un terzo fattore: una struttura demografica peculiare della Germania Est. Negli ultimi tre decenni, questa parte della Germania ha assistito al costante esodo dei giovani più istruiti, soprattutto delle giovani donne. In questo senso, la Germania orientale rappresenta un caso paradigmatico di quella che l’economista del MIT David Autor e i suoi collaboratori hanno ironicamente definito “svalutazione dei giovani maschi sul mercato del matrimonio”. Il risultato è stato il calo di una popolazione nel frattempo sempre più anziana e con una relativa carenza di lavoratori qualificati.
I recenti studi sul successo dei partiti populisti di destra radicale si sono concentrati sempre di più sul ruolo delle emozioni quali meccanismi centrali di mediazione tra i cambiamenti strutturali su larga scala – come la globalizzazione e l’automazione – e le scelte elettorali. E i partiti populisti di destra radicale sono stati particolarmente abili nel far leva su queste emozioni, dall’ansia alla paura, dalla rabbia al risentimento e alla nostalgia. D’altro canto, l’esperienza fatta dai tedeschi orientali nell’arco degli ultimi trent’anni ha generato un ampio spettro di emozioni, la maggior parte delle quali negative.
Sondaggi rappresentativi indicano che un grande numero di tedeschi dell’est si considera ancora “cittadino di seconda classe”: ritengono che gli i connazionali dell’ovest li considerino con sufficienza, ignorando le loro conquiste e non considerando l’impatto che le ricadute della riunificazione hanno avuto sulle loro vite e sul loro benessere. Gli occidentali li liquidano anzi come “Jammerossis” (“piagnoni dell’est”) che dovrebbero “darci un taglio” e smetterla di lamentarsi. Dopotutto, l’ex-Germania ovest ha investito miliardi di euro per ricostruire le infrastrutture malandate e le città decadenti dell’est, e dal 1998 i cittadini dell’ovest sono stati costretti a pagare una “tassa di solidarietà” (la cosiddetta “Soli”) al 5,5 per cento, introdotta per coprire parzialmente i costi della riunificazione. E tuttavia da parte dei tedeschi orientali non sono stati tributati quell’apprezzamento e quella gratitudine che gli occidentali si aspettavano. Al contrario, gli orientali hanno mostrato di nutrire sentimenti nostalgici, conosciuti come “Ostalgie”: un rimpianto distorto e romanticizzato verso un passato idealizzato (quello della Ddr) in cui la vita era più semplice, lo stato provvedeva alle questioni più importanti (fintantoché si rigava dritti) e il senso di comunità era forte.
La Ddr era un paese di “gente comune” (“ein Land der kleinen Leute”) con una mentalità da gente comune. Erich Honecker, storico timoniere della Germania Est, era la perfetta incarnazione di questo habitus e di questa mentalità: un piccolo borghese senza carisma vestito con abiti di taglio scadente. Presentandosi come la voce della gente comune, la retorica anti-establishment dell’AfD ha potuto quindi trovare terreno fertile. Così come lo hanno trovato anche i suoi richiami nativisti, che prendono di mira l’Islam – inquadrato come ideologia estranea e incompatibile coi valori tedeschi – e i rifugiati, un bersaglio particolarmente adatto a far leva sul risentimento. I rifugiati rappresentano infatti tutto ciò che i tedeschi orientali ritengono sia andato storto negli ultimi anni: una delle recriminazioni principali è che i rifugiati “abbiano avuto tutto” al loro arrivo in Germania mentre “noi” dobbiamo riempire decine di moduli per ottenere anche il più misero dei servizi. Tutto viene fatto per integrare “loro” mentre “noi” siamo ancora in attesa di una piena integrazione, o, secondo uno slogan usato dai manifestanti dell’est qualche anno fa e rimasto famoso, “Integriert erst mal uns” (“Integrate prima noi”).
Con il suo programma sciovinista in materia di welfare (“Prima i tedeschi”), l’AfD si è qualificata come la nuova “Ostpartei” (“partito dell’est”) capace di portare le istanze di un est disilluso e arrabbiato, soppiantando così la vecchia PDS (ora Die Linke), che ha perso molti dei suoi voti, non da ultimo in favore proprio dell’AfD. Finora, i media e l’establishment politico in Germania hanno dipinto l’AfD come un partito razzista, estremista e antidemocratico ma questo non ha impedito ai tedeschi dell’est di darle il proprio voto. La strategia potrebbe anzi essersi ritorta contro il mainstream, provocando una reazione di “jetzt erst recht” (“ora più che mai”) e alimentando nuovo risentimento , non diversamente da quanto successo negli Stati Uniti con il commento di Hillary Clinton sui “deplorevoli” [riferito sprezzantemente ai sostenitori di Trump, ndt]. La recente brusca ascesa dell’AfD nella Germania orientale è insomma il sintomo di una disillusione profonda e diffusa. E finché non si andrà alla radice di questa, l’AfD è in una posizione perfetta per sfruttarla a proprio vantaggio.