- Link al testo scientifico: Vercesi, Michelangelo (2020). "L’autonomia decisionale del cancelliere tedesco tra resistenza istituzionale e gestione della crisi," in Fortunato Musella (a cura di), L'emergenza democratica. Presidenti, decreti, crisi pandemica. Napoli: Editoriale scientifica, pp. 89-132.
Come già altre crisi mondiali in passato, la pandemia da Covid-19 ha reso la leadership politica e la capacità, da parte dei capi di governo, di prendere decisioni tempestive ed efficaci, due temi salienti nel dibattito pubblico. La centralità della Germania nel contesto europeo e la diversità dei risultati ottenuti in questo paese rispetto a quelli vicini in termini di contenimento del virus durante la prima ondata pandemica del 2020 hanno portato molti osservatori a interrogarsi sul ruolo giocato da Angela Merkel. Per lei lo scoppio della crisi pandemica non è stato altro che l’ultimo di una serie di shock esogeni che ne hanno caratterizzato il cancellierato. Con l’approssimarsi della fine del suo quarto mandato – che segna anche il cancellierato più duraturo della Germania democratica dopo quello di Kohl (e terzo in assoluto, includendo quello di Bismark) – pare opportuno analizzare l’azione politica di Merkel durante la pandemia, nel contesto di una discussione più ampia sul rapporto tra gestione delle crisi e autonomizzazione del ruolo politico del cancelliere in un arco temporale di circa 20 anni.
Il cancelliere, un leader in balìa di diritti di veto
Nell’impianto costituzionale tedesco il cancelliere gode di una posizione di preminenza, sostenuta da norme volte alla razionalizzazione dell’esecutivo e dal riconoscimento di un principio monocratico all’interno del gabinetto. Al contempo, però, la legge fondamentale (Grundgesetz) prevede una serie di occasioni istituzionali di veto – sia a livello centrale sia tra differenti livelli di governo – che pongono limiti precisi al campo di manovra del primo ministro. Non solo: diversi tentativi da parte dei cancellieri di esercitare leadership fortemente personali sono stati nel tempo arginati da organizzazioni partitiche forti e istituzionalizzate. Anche in quei casi in cui i cancellieri sono riusciti a cumulare sia leadership partitica che governativa, essi si sono trovati costretti ad agire da mediatori tra correnti partitiche o hanno dovuto entrare in conflitto con queste ultime per il controllo della politica governativa (si pensi allo scontro tra Schröder e Lafontaine all’interno dell’Spd alla fine degli anni Novanta).
In circostanze straordinarie, autonomia straordinaria
Ciononostante, in tempi recenti l’influenza della figura del cancelliere nel policy-making è aumentata. Come è stato possibile? Prendendo in prestito alcune categorie dalla letteratura sul policy change, si nota come il cambiamento non sia avvenuto in maniera graduale bensì in modo “punteggiato”, ossia tramite balzi in avanti intervallati da periodi di stasi. Questi scatti in avanti non sono stati altro che il frutto dello sfruttamento, da parte dei cancellieri, di particolari finestre di opportunità aperte da eventi esterni. Indicatrici del cambiamento sono state alcune decisioni politiche sostanziali prese autonomamente (e con successo) dai cancellieri in risposta a tali eventi, in aperto contrasto con colleghi di partito e partner di coalizione. È vero che anche prima degli anni Duemila diversi cancellieri lasciarono un segno personale nella politica tedesca (si pensi ad Adenauer, al miracolo economico di Erhard, alla Ostpolitik di Brandt o alla riunificazione voluta da Kohl), ma la differenza sta nel fatto che, a partire dal cancellierato Schröder (1998-2005), è divenuta prassi comune per il cancelliere aggirare il proprio partito.
Le sfide pre-Covid di Angela Merkel tra Grecia, nucleare e profughi siriani
Nel 2001 Schröder cercò di bypassare la maggioranza di governo al fine di coinvolgere la Germania nelle missioni Nato in Afganistan. Nel 2005, poi, fu il principale promotore del pacchetto di riforme delle politiche del lavoro e del welfare che caratterizzò il suo secondo mandato, il quale fu segnato anche da conflitti con l’alleato di governo (i Verdi) e con larga parte dell’Spd. Ma è con Angela Merkel – forte di un consenso personale stabile ed elevato – che la centralità politica del cancelliere nel determinare indipendentemente la politica del paese si fa più evidente. Le svolte principali durante il cancellierato di Merkel corrispondono a tre shock internazionali: l’incidente nucleare di Fukushima nel 2011, la crisi dell’eurozona nei primi anni 2010, l’aumento dei flussi migratori provenienti dalla Siria del 2015. In tutti e tre i casi Merkel ridefinì lo status quo: prima spinse per la chiusura dei reattori nucleari tedeschi entro il 2022, allontanandosi dal programma della coalizione Cdu- Fdp allora in carica . Poi ottenne l’attivazione del terzo pacchetto di aiuti alla Grecia, il cui successo molti nella Cdu vedevano come uno scenario improbabile. Infine, decise unilateralmente la sospensione delle politiche di espulsione dei richiedenti asilo siriani, scatenando la reazione contrariata di ampi settori della Cdu. Nel 2020, la pandemia di Covid-19 ha riportato a galla il dilemma tra centralizzazione del processo decisionale e logiche consensuali.
Leggi deboli e regioni forti
Nell’analizzare come la crisi pandemica sia stata affrontata in Germania bisogna tener conto che il governo tedesco non dispone di strumenti di intervento legislativo diretto simili ai decreti legge italiani. Inoltre, situazioni come quella legata alla diffusione del virus SARS-CoV-2 non sono – sotto il profilo normativo – assimilabili a scenari per cui possa essere dichiarato lo stato di emergenza interna (innerer Notstand). Il governo federale tedesco si è dovuto appoggiare a una legge per la protezione dalle infezioni (Infektionsschutzgesetz) risalente al 2001, modificata nel marzo 2020 alla luce delle nuove necessità di coordinamento tra livello centrale e Länder (realtà di governo regionale alle quali spetta l’adozione delle misure di contrasto della pandemia, data l’organizzazione federale dello stato). Non stupisce il tasso decisamente più alto di produzione legislativa in materia da parte dei Länder rispetto al governo federale.
La ricetta Merkel: confronto costante e comunicazione diretta
In mancanza di strumenti normativi emergenziali e circondata da una rete di pesi e contrappesi istituzionali, Angela Merkel ha speso il proprio capitale politico per giocare la parte del trait d’union tra i vari attori coinvolti con diritto di veto. Per quanto riguarda le arene decisionali prescelte, le linee guida per il contenimento della diffusione del virus sono state perlopiù definite in contesti informali. Fin da marzo 2020, infatti, Merkel si è riunita più volte in (video)conferenze intergovernative con i capi di governo dei Länder (i quali non hanno fatto mancare resistenze nei confronti delle proposte della cancelliera) per definire le principali misure restrittive delle libertà individuali, da comunicare al pubblico tramite conferenze stampa ad hoc. Guardando all’arena intragovernativa, Merkel – coadiuvata dallo staff della Cancelleria – ha invece guidato ogni settimana, in aggiunta al tradizionale consiglio dei ministri del mercoledì, il cosiddetto Corona-Kabinett, composto dai ministri della salute, delle finanze, degli interni, degli esteri e della difesa. Talvolta gli incontri di questo gabinetto sono stati aperti anche ai ministri responsabili per i settori di policyinteressati dalle misure in discussione.
Secondo la letteratura sulla “leadership crisis”, la gestione di una crisi da parte di un leader politico deve essere analizzata guardando alle decisioni politiche adottate, ma anche al contesto, alla cornice in cui sono maturate. In proposito, Merkel non ha mancato di sottolineare il suo ruolo di coordinatrice nel processo decisionale. Lo ha fatto proponendo videomessaggi alla popolazione: uno strumento usato di norma solo in circostanze eccezionali. L’Istituto Robert Koch (l’equivalente dell’Istituto superiore di sanità italiano) si è poi occupato di organizzare regolari conferenze stampa, per integrare gli aggiornamenti già presenti in lingue diverse sul sito web del governo federale.
Una Germania meno rigida del resto d’Europa
In termini di policy outputs e del loro impatto, la risposta complessiva del governo tedesco e il livello di severità delle misure tra la Germania e gli altri tre paesi comunitari più popolosi (Francia, Italia, Spagna) in un arco temporale che va da gennaio a settembre 2020 sono riassunti nelle figure 1 e 2. I dati giornalieri si basano sui relativi indici calcolati dall’Oxford Covid-19 Government Response Tracker.
Le due figure mostrano che, prima della seconda ondata pandemica europea dell’autunno 2020, la Germania ha risposto complessivamente alla crisi tra marzo e aprile 2020 in modo più limitato, mentre i dati successivi convergono. Ciò potrebbe rispecchiare la mancata dichiarazione, in prima battuta, dello stato d’emergenza, che distingue la Germania dagli altri paesi considerati. Anche quando si osserva il grado di severità delle misure si nota che, fino al maggio 2020, la Germania presenta livelli relativamente inferiori, probabilmente per via del fatto che la popolazione tedesca non è stata soggetta a misure di quarantena tanto severe quanto quelle imposte a Roma, Madrid o Parigi.
Ancora in bilico tra poteri e carisma
Nel complesso, il modo in cui la pandemia di Covid-19 – almeno fino alla seconda ondata – è stata gestita in Germania sembra supportare la tesi per cui il cancelliere tedesco, anche quando riesce ad acquisire un ruolo di particolare preminenza, continua a trovarsi costretto ad agire entro un contesto di veti istituzionali e partitici incrociati, la cui forza non diminuisce nemmeno in periodi di crisi. Per questa ragione, anche in tempi di “presidenzializzazione”, i cancellieri – in particolare Angela Merkel – si sono ritagliati limitati spazi di manovra sfruttando quelle opportunità contingenti che, senza l’emersione di shock esogeni, sarebbero rimaste probabilmente precluse. La domanda per il futuro è quanto la centralità guadagnata da Schröder e Merkel si istituzionalizzerà e diverrà tratto saliente del governo del tedesco o quanto, al contrario, essa sia destinata a dipendere dalla personalità e dalla capacità politica del primo ministro del momento.