- Link all'articolo scientifico: Maria Tullia Galanti & Barbara Saracino (2021): Inside the Italian Covid-19 task forces, Contemporary Italian Politics, DOI: 10.1080/23248823.2021.1916858.
Durante i primi mesi del 2020, insieme ai disagi e alle sfide portate dalla pandemia, nello scenario politico italiano è fiorito anche un numero considerevole di organismi temporanei con un ruolo – sulla carta – molto preciso: fornire non solo conoscenze ma anche raccomandazioni di policy. Queste “task force” – come le hanno da subito etichettate i quotidiani – sono un fenomeno inedito per il sistema politico italiano.
In soli tre mesi – tra febbraio e aprile dello scorso anno, quando l’Italia stava affrontando la prima ondata pandemica – il governo Conte II ha dato vita a sette organismi di questo tipo. Sette “squadre speciali” volute, in teoria, per affiancare l’esecutivo nelle sue decisioni più critiche e gestire l’emergenza con competenze tecniche specifiche. Centosettanta e più i membri, in totale. Ma quali sono le loro caratteristiche distintive, e quali i profili di expertise prevalenti? Queste le domande a cui abbiamo provato a rispondere, mappando sia la struttura delle task force che le identità dei componenti.
Sette squadre ‘speciali’: quali sono
Il primo organismo a essere costituito, pochi giorni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato il Comitato tecnico scientifico (Cts), istituito formalmente con decreto del Capo dipartimento della Protezione civile n. 371 del 5 febbraio 2020.
Poi è arrivata la task force per l’efficiente e rapido utilizzo delle misure di supporto alla liquidità (task force liquidità), istituita il 29 marzo 2020 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) come struttura di coordinamento informale e a geometria variabile in collaborazione con Ministero per lo Sviluppo Economico (Mise), Banca d’Italia, ABI, Medio Credito Centrale e SACE.
La task force Dati per l’emergenza Covid è stata istituita il 31 marzo 2020 dal Ministro per l’Innovazione. Il 4 aprile il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri (Pcm) per l’editoria ha istituito l’Unità di monitoraggio per il contrasto alla diffusione delle fake news relative al Covid-19.
Pochi giorni dopo, il 10 aprile, è stato istituito il Comitato di esperti in materia economia e sociale (Cees), meglio noto come “Commissione Colao”.
La task force Donne per un Nuovo Rinascimento (Dnr) è stata creata dal Ministro per le Pari opportunità il 13 aprile. È infine del 21 aprile la formazione del Comitato di esperti presso il Ministero dell’Istruzione (task force Mir).
Il ricorso alle task force ha rappresentato una cifra distintiva del governo Conte II, tanto che era stata annunciata anche la costituzione di una squadra con l’obiettivo specifico di gestire il Recovery Fund, poi mai realizzata. Tra i componenti dei diversi gruppi di lavoro, figurano personaggi che hanno poi ricoperto ruoli rilevanti nel successivo governo Draghi, come Vittorio Colao, Enrico Giovannini, Patrizio Bianchi e Roberto Cingolani.
Poco tempo e (quasi) nessun budget: strutture deboli per compiti ardui
Come mostrano i dati raccolti in Tabella 1, le strutture analizzate sono molto deboli sotto il profilo delle risorse organizzative. Oltre ad avere durata temporanea, non dispongono di budget proprio o di staff – con l’eccezione della Cees di Colao, che ha potuto reclutare un ristretto numero di assistenti – né ai componenti sono riconosciuti compensi. Per quanto riguarda la collocazione organizzativa, è significativo che quattro organismi su sette facessero capo (direttamente o indirettamente) alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che si è rivelata il principale decisore politico nel corso dell’emergenza. Se il numero dei componenti delle task force è molto variabile, i criteri per la selezione dei componenti – ricavabili dai decreti istitutivi – sono abbastanza omogenei (e generici): contano la reputazione, l’expertise tecnica e le competenze burocratiche.
Anche i compiti desunti dai decreti risultano variabili. Con l’eccezione del Cts, gran parte di questi organismi è stata creata non tanto per formulare raccomandazioni di policy basate su evidenze scientifiche, quanto per fornire soluzioni pratiche su temi spinosi quali la riapertura di attività economiche e didattiche o gli strumenti di tracciamento da promuovere, nonché per rappresentare le istanze degli stakeholder.
Significativi sono i dati rispetto al livello di trasparenza, un elemento che qualifica la credibilità degli organi consultivi anche nei sistemi di altri paesi. Pure rispetto a questa dimensione, le task force Covid-19 italiane risultano deboli. La pubblicazione dei curricula dei componenti, ad esempio, è disponibile solo per tre squadre di esperti (il Cts, il Cees, e la task force Dati). Solo i componenti del Cees e della task force dati hanno dovuto dichiarare l’assenza di conflitto di interessi. Inoltre, la task force contro le fake news e quella Mir non hanno provveduto alla pubblicazione degli atti prodotti. Solo i verbali delle riunioni del Cts sono stati pubblicati regolarmente (comunque 45 giorni dopo le decisioni in oggetto). Allo stesso tempo, solo i membri del Cts hanno dovuto firmare un accordo di riservatezza.
In sintesi, analizzando le sette task force italiche a partire dai dati pubblici, emerge come questi organismi siano poco strutturati, poco trasparenti e mediamente anche poco visibili nel dibattito politico e pubblico, con alcune rilevanti eccezioni se si osservano le squadre a più forte contenuto tecnico-specialistico, come il Cts e la task force liquidità. In definitiva, con riferimento all’esperienza del governo Conte II, appaiono comunque come organi di consultivi temporanei e poco influenti, creati più che altro per legittimare il Governo e condividerne la responsabilità di scelte difficili.
Mediatori maschi, interpreti femmine e scienziati over 60
Utilizzando le caratteristiche socio-anagrafiche, professionali e relazionali desumibili dai curricula dei componenti delle task force – tramite quella che dagli addetti ai lavori è chiamata two step cluster analysis – abbiamo identificato tre idealtipi di esperto nelle task force del governo Conte II (tabella 2).
Il primo gruppo è formato da uomini tra i 50 e i 60 anni, laureati, affiliati a più gruppi di interesse, appartenenti a più di una istituzione, con un profilo professionale di vertice (manager pubblici o privati, imprenditori). Considerando soprattutto le affiliazioni multiple sia nelle istituzioni sia nei gruppi di interesse, si può dedurre che questo primo gruppo sia caratterizzato da esperti che non fanno della produzione scientifica la loro attività principale, ma che assumono un ruolo centrale nei network professionali, e che allo stesso tempo possono entrare facilmente in contatto con i decisori. Questo profilo corrisponde a quella categoria che, in letteratura, è detta dei mediatori: persone che producono idee veicolari, finalizzate a mettere in connessione concetti e attori sociali. Quasi un soggetto su quattro, tra quelli reclutati in task force, rientra in questa descrizione. Le percentuali aumentano nel Comitato tecnico scientifico e nella task force liquidità. Quando si tratta di scienza, salute e soldi, in pratica.
Il secondo gruppo si rispecchia in una donna, relativamente più giovane rispetto alla media della popolazione (fino a 50 anni), istruita fino al livello del diploma, non affiliata a gruppi d’interesse e appartenente a una sola istituzione, con la professione di docente o dirigente scolastico. Questo profilo sembra richiamare più direttamente la figura della funzionaria pubblica, portatrice di un sapere tecnico e settoriale relativo al funzionamento della macchina della pubblica amministrazione. Questo identikit si può ricondurre alla figura dell’interprete, utile a importare le idee degli esperti nel contesto della pubblica amministrazione. Corrisponde al 42% della popolazione presa in esame, prevale nella squadra Donne per un nuovo rinascimento, rappresenta circa la metà dei componenti in Commissione Colao e nelle task force dati e fake news, ed è in maggioranza anche nella task force che si occupa di istruzione.
Il terzo gruppo si identifica con l’idealtipo di un uomo con profilo senior, sopra i 60 anni, molto istruito (con dottorato o post-laurea), affiliato a un solo gruppo di interesse e a una sola istituzione, affermato nelle professioni mediche o accademiche. Quest’ultimo idealtipo corrisponde all’esperto scientifico, che produce consulenze scientificamente fondate e svolge una funzione tanto informativa, quanto operativa e strategica. Gli esperti scientifici rappresentano il 34% dei componenti delle task force, e sono più presenti nelle task force note nell’agone mediatico, come Cts e la Commissione Colao. Gli esperti scientifici prevalgono, insieme alle funzionarie-interpreti, nella task force Mir, mentre si attestano intorno al 30% nelle task force dati, Dnr e fake news. Sono solo in minima parte, invece, nella task force liquidità.
In bilico tra operatività e rappresentanza
Il peso diverso dei differenti idealtipi di esperti nelle varie task force suggerisce alcuni spunti di riflessione. Le “squadre speciali” poco strutturate e visibili, dove prevale la figura dei mediatori e delle funzionarie traduttrici, sembrano mantenere più che altro una funzione simbolica, di legittimazione e rappresentanza. Le task force più solide e note nel dibattito pubblico, al contrario – popolate da esperti scientifici e da mediatori – emergono per una funzione più strumentale, tecnica e orientata a risolvere i problemi.
Dall’analisi risulta però in modo netto come alcune dinamiche sociali e politiche si siano riprodotte anche durante l’emergenza: a sussurrare all’orecchio del potere non sono le donne, i giovani o le migliori competenze, ma figure prevalentemente maschili, già affermate e interconnesse. In particolare, per quanto riguarda la presenza femminile, sembra confermarsi un dato chiaro nella letteratura di genere: tra le molte cause di gender gap si rileva anche la minor inclusione delle donne nei network professionali e di potere. Resta da capire – ed è materiale per una nuova ricerca – quanto queste dinamiche siano state presenti nei sistemi istituzionali di altri paesi, colpiti dalla stessa emergenza, ma dotati di organi di consulenza non temporanei e prassi consolidate.