Il fenomeno delle fake news, ossia della diffusione di notizie false, dal 2004 – in concomitanza con l’ingresso nell’era del web 2.0 – ha subito una rapida espansione. Eppure è sempre esistito. Se da un lato internet ha favorito la libertà di espressione permettendo a chiunque di far sentire la propria voce, dall’altro, in un contesto caratterizzato dall’eccessiva profusione di informazioni, il web ha condotto alla perdita di credibilità e di legittimazione dei saperi esperti. Il parametro di misurazione dell’attendibilità delle informazioni, infatti, non è più basato sull’autorevolezza della fonte e sulla sua scientificità. Piuttosto si valuta basandosi sulla viralità del contenuto, cioè tenendo conto del numero di like e di condivisioni sulle piattaforme virtuali della presunta notizia.
Tutto questo è accentuato nelle emergenze. Oggi, in piena pandemia da Coronavirus, come è accaduto nel periodo della cosiddetta “crisi dei migranti” del 2015, il numero di notizie false che circola in rete è davvero impressionante.
Quando le emozioni contano più della verità
Molti esperti sono concordi nell’affermare che l’espansione del fenomeno della disinformazione sulle piattaforme virtuali segna l’ingresso della nostra società nell’era della post-verità. La verità viene “superata” (Marco Biffi, 2016) fino al punto da determinare la sua perdita di importanza. L’emozione prevale sulla ragione, la disinformazione sull’informazione, la menzogna sulla verità (Martucci 2018). Non esistono più esperti di autorevolezza indiscussa: le emozioni, le pulsioni e i desideri finiscono per divenire importanti tanto quanto i fatti.
In questo scenario è fondamentale conoscere i responsabili della diffusione delle notizie false per poterli qualificare come menzogneri agli occhi dell’opinione pubblica, per replicare alle falsità diffuse e rimuoverle dalla rete (chiedendo conto dei danni provocati).
Piattaforme e utenti: una battaglia su più fronti
Per contenere la proliferazione delle fake news possiamo intervenire con strategie top-down – messe in atto “dall’alto”, dagli esperti – e altre bottom-up, cioè che arrivano “dal basso”, direttamente dagli utenti.
Tra gli interventi top-down, un primo passo potrebbe essere la previsione che i motori di ricerca e i social networkpubblichino una lista dei siti, delle pagine web e dei più grandi giornali del Paese contrassegnati come attendibili. Inoltre, i risultati ricavati dai motori di ricerca dovrebbero essere presentati in una doppia schermata: una riportante quelli basati sull’algoritmo, l’altra con risultati neutri, ovvero non influenzati dalla profilazione dell’utente. Si tratta di responsabilizzare le piattaforme online e di spingerle ad adottare misure atte ad arginare il problema. Dello stesso spirito è la proposta di Pizzetti di costringere i motori di ricerca e social network a bloccare l’accesso ai cosiddetti “robot” che diffondono notizie false.
Tra gli interventi bottom-up una prima misura è favorire la diffusione dei fact-checkers, cioè di pagine web che controllano se le informazioni siano basate su evidenze empiriche. Facebook ad esempio ha ideato un pulsante che permette agli utenti di segnalare i cosiddetti fakers in modo da rimuovere i loro post dal social network. Un secondo intervento, meno drastico, è l’inserimento di alert che sulla base di controlli di alcuni utenti (checkers), mettono in guardia sul rischio di falsità delle notizie riportate.
Come arginare la pandemia sul web
In Italia e non solo, meccanismi qui illustrati sono entrati in funzione per individuare e contrastare le fake news sul Coronavirus. Enti, testate giornalistiche, organizzazioni nazionali e internazionali hanno attuato il fact-checking per garantire una corretta informazione e cercato di offrire ai cittadini strumenti che consentano loro di riconoscere in autonomia le notizie false.
Ad esempio il Ministero della Salute ha aperto una sezione dedicata al Covid-19 in cui smentisce le notizie false che circolano sui social: quelle relative alla trasmissione del virus da parte degli animali domestici, come pure la teoria per cui ingerire bevande calde ucciderebbe il virus.
L’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ha commentato una serie di fake news sul tema Covid-19 allo scopo di falsificarle (tra le tante la bufala secondo la quale ci si potrebbe auto-diagnosticare il virus o che le vitamine C e D lo contrasterebbero).
La testata giornalistica Agenda Digitale ha pubblicato un’analisi su come si diffondono le notizie sul Coronavirus e quali sono i metodi per contrastarle attraverso la collaborazione dei principali motori di ricerca e dei principali social per filtrare le informazioni false e promuovere quelle istituzionali.
Anche il sito di notizie Open ha dedicato una sezione al fact-checking sul Coronavirus, dove elenca le principali falsità che circolano in rete sul tema.
Molte risorse che aiutano a evitare la diffusione di notizie false erano già presenti in rete da prima dell’epidemia. Ad esempio, il blog Butac che si occupa del fenomeno del debunking – ossia il meccanismo di smascheramento di fake newse notizie antiscientifiche – nel 2016 ha pubblicato un articolo che spiega in cinque punti come difendersi. In generale la promozione dell’autoconsapevolezza sembra essere il metodo maggiormente utilizzato da istituzioni, giornali e centri di ricerca italiani allo scopo di ridurre e di contrastare la diffusione delle notizie false.
Gli sforzi finora attuati meritano tuttavia di essere ulteriormente intensificati. Il virus della disinformazione non è meno contagioso e pericoloso del Covid-19 e cresce al suo crescere accrescendo al contempo ansie e paure nella popolazione.