Link all'articolo in versione estesa: F. Razetti (2020), Il Coronavirus e i nervi scoperti del welfare italiano, Percorsi di secondo welfare, 20 marzo 2020.
La pandemia di Covid-19 costituisce un buon esempio di focusing event, un evento che – per la sua natura dannosa, inaspettata e improvvisa – forza opinione pubblica e decisori politici a inserire nell’agenda pubblica e istituzionale temi che non vi sarebbero entrati o che almeno non lo avrebbero fatto con la stessa forza, la stessa visibilità e rapidità. È un evento di tale portata che sconvolge l’intero processo pubblico di agenda setting: focalizza l’attenzione collettiva su alcuni temi distogliendola da altri, ridefinisce rapidamente le priorità, aiuta a superare inerzie istituzionali e resistenze al cambiamento (Birkland 1998). Per questa ragione può rivelarsi un’occasione per portare alla ribalta le esigenze dei più vulnerabili, che solitamente non godono di particolare visibilità. Ma spetta ai corpi intermedi alzare la voce e avanzare proposte.
Il coronavirus come focusing event
La salienza politica di un focusing event si coglie innanzitutto se si considera che una delle funzioni più importanti della politica consiste proprio nello stabilire le priorità collettive, “operando un taglio” fra le alternative praticabili. In secondo luogo, lo stato di emergenza tende ad accrescere la libertà di manovra del governo, chiamato ad assumere provvedimenti eccezionali. L’urgenza può infine contribuire a indebolire punti di veto, a ridurre resistenze istituzionali e ad aprire “finestre di opportunità” (Kingdon 1993; 1995) che possono facilitare l’adozione accelerata di specifici provvedimenti. L’evidenza di una crisi può inoltre generare un vantaggio a favore di chi, prima poco ascoltato, segnalava l’inadeguatezza dello status quo.
A partire dal decreto “Cura Italia”, consideriamo come la crisi innescata dalla pandemia stia alterando il processo di definizione dell’agenda nel nostro Paese e se stia favorendo o meno un cambiamento sul piano delle politiche di welfare. Se la politica sanitaria è la prima ad essere chiamata in causa, l’emergenza sta facendo entrare o rientrare improvvisamente in agenda anche altri temi centrali per il sistema delle politiche sociali. Emergono così tanti nervi scoperti del “welfare state all’italiana”: dal lavoro al sostegno al reddito, dalle politiche familiari a quelle per le persone più anziane.
Una nuova agenda, non solo per il sistema sanitario
La prima osservazione, più ovvia, è che la diffusione di questa nuova malattia ha finalmente convogliato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su un tema centrale per il nostro sistema di welfare, rimasto ai margini nel dibattito politico degli ultimi vent’anni: le (precarie) condizioni di salute del Servizio sanitario nazionale (Ssn). L’imperativo del contenimento dei costi, che ha dominato le scelte di politica sanitaria degli ultimi due decenni – determinando, fra l’altro, una forte contrazione del personale – appare improvvisamente ridimensionato dall’irruzione in agenda dell’attuale pandemia. Il decreto segna una significativa inversione di tendenza, stanziando una cifra non marginale – circa 3 miliardi di euro – a favore del Ssn, e allentando molti vincoli finanziari attraverso deroghe alla normativa esistente.
Le conseguenze delle misure di salute pubblica sul sistema produttivo riportano poi alla ribalta la questione del sostegno al reddito delle fasce più deboli. Come evidenziato da Fabrizio Barca e Cristiano Gori per il Forum disuguaglianze e diversità, la preoccupazione deve essere che le misure di emergenza adottino un approccio universale e pragmatico, facendo leva sugli strumenti di policy già a disposizione e rapidamente attivabili. Il decreto ha predisposto un’espansione della cassa integrazione e dell’assegno ordinario sia in verticale che in orizzontale. Secondo gli analisti si tratta di un’azione adatta a intercettare “le vulnerabilità del lavoro dipendente stabile e autonomo di piccole, medie e grandi imprese resilienti”. Si tratta, tuttavia, solo di una delle tante tipologie lavorative, peraltro sempre meno frequente nell’attuale mercato del lavoro. Per gli altri lavoratori converrebbe immaginare adattamenti dei due strumenti di sostegno al reddito già esistenti: Naspi e Reddito di cittadinanza.
La strada seguita dal Governo, invece, consiste nella previsione, per il mese di marzo, di un’indennità una tantum pari a 600 euro. Infine, se è vero che il decreto stabilisce per 60 giorni l’impossibilità di procedere a licenziamenti individuali e collettivi, c’è tuttavia da interrogarsi anche su che cosa sia stato messo in campo per chi ha perso il lavoro per via del mancato rinnovo del contratto a causa dell’emergenza.
Anziani, disabili, colf e caregiver
In tempi di isolamento sociale forzato emerge poi finalmente la questione delle persone anziane sole. Nonostante le forti pressioni funzionali demografiche che da tempo minacciano la sostenibilità del sistema italiano di protezione sociale, il tema dell’invecchiamento non è mai riuscito a fare breccia nell’agenda di policy nazionale (Gori 2019; Pesaresi 2018). Nel pieno della crisi, le soluzioni di “welfare fai da te” – basate su un milione di badanti – sollevano questioni inedite che, tuttavia, non fanno che portare alla luce l’intrinseca debolezza di queste forme di bricolage familiare. Per timore del contagio si è acuito il rischio che colf e badanti decidano di chiudere il rapporto di lavoro, ma anche che siano le famiglie (con più tempo e meno risorse economiche a disposizione) a interromperlo.
Il decreto in questione ha però esplicitamente escluso il lavoro domestico dalle misure di integrazione salariale. Se a ciò si aggiunge che l’assenza di una regolazione dei flussi migratori per i lavoratori domestici e la prevalenza di trasferimenti monetari non vincolati da parte dello Stato hanno contribuito allo sviluppo di un consistente mercato sommerso, non è improbabile che molte e molti assistenti familiari si trovino improvvisamente a rischio di perdere il lavoro (senza il preavviso minimo previsto dal Contratto nazionale), il reddito e, in tanti casi, anche l’alloggio.
All’accudimento degli anziani si aggiunge quello degli altri soggetti fragili all’interno dei nuclei familiari. Ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con figli fino a 12 anni, il “Cura Italia” ha riconosciuto il diritto a fruire di uno specifico congedo. In alternativa è prevista la possibilità di scegliere un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting mediante il “libretto famiglia”. La natura macchinosa del libretto, insieme al mancato incentivo – negli ultimi anni – allo sviluppo di un mercato regolare e professionale di servizi alla persona, rende improbabile che l’iniziativa decolli e possibile che le famiglie optino più frequentemente per il congedo. Questo presenta tuttavia alcune criticità a partire dal fatto che – soprattutto se trasferibile – tende a essere fruito da chi nella coppia (solitamente la donna) percepisce un salario più basso, aggravando così i divari di genere già molto forti. La bassa generosità dell’indennità potrebbe inoltre spingere a scegliere di anticipare le ferie, soprattutto tra le fasce a reddito più basso.
Bambini di serie A e di serie B
Infine non è da sottovalutare il rischio che, per effetto della chiusura delle scuole e dell’attivazione di forme più o meno riuscite di didattica a distanza, tenda ad allargarsi la forbice tra “bambini di serie A e di serie B”. Come messo in luce daInvesting in children e Alleanza per l’infanzia, i più vulnerabili sono quei tanti bambini in povertà assoluta (quasi 1,3 milioni), spesso privi di un accesso alla rete a banda larga o mobile, particolarmente bisognosi delle occasioni di socialità offerte dalla partecipazione alle attività scolastiche e i cui genitori sono perlopiù disoccupati o impiegati con contratti precari, quindi poco tutelati anche dalle nuove disposizioni in materia di sostegno al reddito.
Come accade per il nostro sistema immunitario in merito al Covid-19, è difficile dire se il nostro sistema di welfare svilupperà anticorpi istituzionali duraturi e capaci di rafforzarlo nel lungo periodo. La crisi sta certamente rendendo visibili in modo plastico problemi del nostro sistema di protezione sociale che erano già noti ma finora latenti. Non tutti, però, con la stessa forza. E non tutti, presumibilmente, con gli stessi effetti nel medio-lungo periodo.
Sul piano dell’agenda il cambiamento più significativo sembra, per ora, quello che si sta realizzando in campo sanitario. Due elementi (Birkland 1998) suggeriscono che si tratterà anche del cambiamento destinato a produrre gli effetti più duraturi sull’agenda. Il primo elemento è la presenza di una comunità di policy organizzata e indispensabile per superare l’emergenza, capace di “sfruttare” la crisi per modificare l’agenda, argomentare in favore di un cambiamento delle linee di politica pubblica seguite negli ultimi decenni: una comunità, cioè, capace di agire efficacemente come gruppo di advocacy. Il tutto è facilitato da un secondo aspetto, la natura del problema in questione: una chiara minaccia per la collettività consente e consentirà ai sostenitori del cambiamento di fare leva su un immaginario molto potente, fatto di elementi visivi, simbolici, evidenze numeriche.
Queste due condizioni sembrano presenti con minore intensità negli altri settori di politiche sociali toccati dalla crisi in corso. I problemi relativi al lavoro e al sostegno alle famiglie appaiono meno urgenti di quelli strettamente sanitari e riguardano perlopiù fasce di popolazione (le persone anziane sole, i lavoratori atipici, i disoccupati, le donne, i minori, e così via) meno strutturate sia come gruppi di advocacy sia dal punto di vista delle comunità di policy di riferimento.
Un’occasione per i corpi intermedi
Se si vuole agire perché la finestra di opportunità aperta dalla crisi non si richiuda rapidamente, perché nella definizione dell’agenda anche gruppi più vulnerabili e meno organizzati possano far sentire la loro voce, appare più che mai cruciale il ruolo delle tante forme organizzate della società a difesa di questi gruppi. Spetterà ai corpi intermedi e alle reti/alleanze che fanno advocacy sviluppare strategie comunicative convincenti e avanzare proposte scientificamente robuste per aiutare a trasformare le diverse condizioni di difficoltà esacerbate dalla crisi in veri e propri “problemi” (Kingdon 1993). Così si potrà, forse, non solo scongiurare il rischio che la crisi da coronavirus accresca le disuguaglianze, ma anche trasformare questa occasione drammatica nel grimaldello per un cambio di politiche più che auspicabile.