- Link all’articolo scientifico: Franchino Fabio, Mark A. Kayser, and Christopher Wratil (2021) ‘Electoral Competitiveness and Responsiveness: Rational Anticipation in the EU Council‘ Journal of European Public Policy.
L’Unione europea soffre di un deficit di democrazia, si usa dire. Un’opinione diffusa che alimenta un dibattito ormai più che ventennale, che si articola in cinque punti principali.
In primo luogo, l’Unione europea ha rafforzato il potere esecutivo dei ministri in seno al Consiglio Ue, a discapito dei parlamenti nazionali. I governi possono ignorare i loro parlamenti quando prendono decisioni a Bruxelles e, comunque, non possono bloccare decisioni europee laddove non vige l’unanimità. La Commissione inoltre non è soggetta al controllo dei parlamenti nazionali.
In secondo luogo, il Parlamento europeo non è in sintonia con le opinioni dei cittadini. Il legame con i cittadini,nonostante l'aumento dei suoi poteri, è troppo tenue per compensare la perdita di controllo dei parlamenti nazionali.
In terzo luogo, elezioni "europee" non esistono. Quelle nazionali trattano questioni interne piuttosto che europee: anzi, i partiti colludono per tenere quest’ultime fuori dall'agenda politica. E neppure le elezioni del Parlamento europeo riguardano l'Europa. Sono dei sondaggi sulle prestazioni dei governi e dei partiti nazionali.
Quarto, l’Unione europea è troppo distante. I cittadini non la comprendono. La Commissione non è né un governo né una burocrazia. È nominata attraverso una procedura poco chiara e non è eletta direttamente dai cittadini o indirettamente da un parlamento. Il Consiglio è poco trasparente, mentre il Parlamento europeo è impenetrabile a causa del suo multilinguismo. Inoltre, il processo politico dell'Unione è altamente tecnocratico, il che impedisce ai cittadini di comprendere le posizioni politiche espresse al suo interno.
Come risultato di tutto questo – quinto punto – nell’Unione europea si adottano misure che non sono sostenute dalla maggioranza dei cittadini di molti, se non della maggior parte, degli stati membri e queste politiche limitano le scelte dei governi e degli elettori.
Studi recenti mostrano una situazione diversa
Non tutti sono d’accordo. Nonostante l’accentramento dei poteri nell'esecutivo, alcuni replicano che i ministri sono i politici che devono render conto più direttamente ai propri cittadini, mentre l'accrescimento dei poteri del Parlamento europeo ha compensato la perdita di controllo da parte di istituzioni rappresentative nazionali. Si fa notare anche come il processo decisionale dell’Unione sia in molti casi più trasparente di quello nazionale e come gli euroburocrati debbano tener conto dei numerosi e variegati interessi delle società europee. Inoltre, il controllo giurisdizionale delle azioni dell’Unione da parte della Corte di giustizia europea e dei tribunali nazionali è molto esteso, il Parlamento europeo e quelli nazionali dispongono di strumenti di controllo sempre più incisivi, di cui si avvalgono senza grosse esitazioni. Infine, le politiche dell'Unione non sono dissociate dalle opinioni dei cittadini perché il sistema istituzionale dell’Unione richiede un ampio consenso per adottare qualsiasi misura. Molte politiche europee hanno un orientamento centrista che scontenta tanto i sostenitori del libero mercato e dello stato minimo quanto i difensori dello stato interventista.
Democrazia europea in azione, cosa sappiamo
Negli anni il dibattito è diventato molto più concreto, le domande poste dai ricercatori sono più precise: le posizioni che sostengono i ministri in seno al Consiglio Ue sono congruenti con quelle dei loro cittadini? Le politiche adottate a livello europeo riflettono le posizioni dei cittadini europei? E se quest’ultime cambiano, cambiano anche le politiche europee?
Gli studi empirici iniziano a fornire risposte interessanti. Christine Schneider, ad esempio, mostra come le posizioni dei ministri sostenute a Bruxelles siano congruenti con quelle dei loro elettori, come i ministri non solo difendono attivamente tali posizioni in seno al Consiglio ma si sincerano anche che le misure concordate portino benefici effettivi ai propri cittadini. Sara Hagemann, Sara Hobolt e Christopher Wratil mostrano come i governi tendono ad opporsi a proposte che ampliano i poteri dell’Unione quando hanno di fronte una opinione pubblica euroscettica che considera di particolare importanza la questione dell'integrazione europea. Sempre Wratil mostra come le riforme delle politiche europee tendono a seguire l'opinione pubblica di quegli stati dove il tema in esame è saliente e dove i cittadini hanno un’opinione uniforme, anche se per Fabio Franchino e Christopher Wratil sono necessari una buona coordinazione dell’esecutivo nazionale e strumenti di controllo parlamentare incisivi affinché i ministri rappresentino effettivamente le posizioni della coalizione governativa nei negoziati a Bruxelles.
Misurare la reattività all’opinione pubblica nazionale: una ricerca comparata
In uno studio condotto assieme a Mark Kayser e Christopher Wratil, abbiamo affrontato questi temi cercando di capire quali circostanze spingono un governo quando opera a Bruxelles a prestare maggiore attenzione all’opinione pubblica nazionale. Abbiamo suggerito due fattori che possono influenzare tale reattività: il rischio di elezioni anticipate e la competitività del sistema di partito nazionale (più specificamente, il rischio che il partito di maggioranza relativa, a cui frequentemente fa capo il primo ministro, cessi di essere tale).
Lo studio è stato condotto su un importante dataset che contiene le posizioni dei governi sulle misure europee oggetto di riforma tra il 1996 e il 2018. Una parte delle posizioni su queste riforme sono facilmente riconducibili al classico conflitto tra destra e sinistra su temi economici, come ad esempio quelle sulla regolamentazione dei mercati, il ruolo dello stato nell’economia e i temi ambientali. Per misurare la posizione dell’opinione pubblica abbiamo utilizzato le risposte ai sondaggi demoscopici dell’Eurobarometro, che ci permettono di stimare la posizione sull’asse destra-sinistra del cittadino medio di ogni paese.
Il rischio di scioglimento anticipato della legislatura non pare sortisca una grand’effetto sulla reattività dei governi, probabilmente perché è un evento difficile da prevedere, anche da parte di politici professionisti. Ciò detto, l’approssimarsi della scadenza naturale della legislatura porta invece i governi a porre maggiore attenzione alla propria opinione pubblica - come d’altronde avviene per qualsiasi altra politica nazionale. È un risultato che non sorprende. Molti elettori tendono a considerare la performance dei governi nei mesi che precedono le elezioni per orientarsi al voto.
La competitività del sistema di partito, invece, influenza la reattività democratica in un modo più complesso. La figura 1 illustra l’effetto dell’opinione pubblica nazionale sulle posizioni dei rispettivi governi per diversi livelli di rischio del partito di maggioranza relativa di perdere tale posizione.
Nota: La curva continua rappresenta l’effetto di un cambiamento dell’opinione pubblica sulle posizioni dei governi. Le curve tratteggiate rappresentano l’intervallo di confidenza al 95 per cento. L’istogramma sullo sfondo rappresenta la distribuzione delle osservazioni (l’asse di destra delle ordinate) in funzione della probabilità di perdere la maggioranza relativa.
Quando l’opinione pubblica (in patria) non conta
A livelli di rischio alti e bassi – cioè all’estrema sinistra e all’estrema destra della figura – la curva e il suo intervallo di confidenza si sovrappongono al valore zero dell’asse delle ascisse. Ciò indica che, quando il rischio di perdere il controllo dell'esecutivo (attraverso la perdita della maggioranza relativa dei seggi) è basso, i governi si sentono sufficientemente al sicuro da attuare le proprie politiche senza inseguire pedissequamente le oscillazioni dell’opinione pubblica. Similmente, quando invece i governi sono pressoché certi di perdere potere, assecondare l’opinione pubblica non cambierebbe certo il loro destino, quindi cercano, finché possibile, di attuare le proprie politiche, benché impopolari, e si accertano che le loro misure portino benefici ai sostenitori più fedeli.
E quando invece conta
A livelli intermedi di rischio, la curva e il suo intervallo di confidenza non si sovrappongono al valore zero dell’asse delle ascisse. In parole povere, l’effetto è significativo. Qui dunque troviamo la maggiore reattività dei governi all’opinione pubblica. In queste circostanze, seguirla con attenzione può far la differenza fra rimanere al governo o uscirne. Questo comportamento è particolarmente evidente se il partito di maggioranza relativa al governo è forte. Come illustra la Figura 2 che, replicando la Figura 1, separa i partiti forti da quelli deboli (dove I partiti forti detengono la carica di primo ministro e almeno l'80 percento dei seggi governativi, oppure operano in esecutivi con un coordinamento molto accentrato).
Nota: Le curve continue rappresentano gli effetti di un cambiamento dell’opinione pubblica sulle posizioni dei governi. Le curve tratteggiate rappresentano l’intervallo di confidenza al 95 percento. Gli istogrammi sullo sfondo rappresentano la distribuzione delle osservazioni (l’asse di destra delle ordinate) in funzione della probabilità di perdere la maggioranza relativa.
Questione di sfumature: un dibattito più maturo
La fase manichea e piuttosto sterile del dibattito sull’assenza o presenza di democrazia nell’Unione è ormai alle spalle. Le argomentazioni riflettevano forse più i pregiudizi dei sostenitori dell’una o dell’altra tesi che solide conclusioni derivate da buona ricerca sociale. Si è passati a domande di ricerca più circonstanziate: In quali circostanze le azioni dei politici che operano nell’Unione sono allineate con gli interessi dei cittadini? In che misura adattano i propri comportamenti per assicurarsi una maggiore congruenza con l’opinione pubblica? Come per le democrazie nazionali, le ricerche suggeriscono che parlare di assenza o presenza di congruenza o reattività ha poco senso. È una questione di gradi e condizioni. Questi risultati ci permettono di valutare in maniera più qualificata gli aspetti positivi e quelli negativi della rappresentanza democratica in Europa. È ciò che ci si dovrebbe aspettare da un sistema politico che governa la politica continentale da ormai più di sessant’anni: un dibattito più maturo.