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Ballarino G. e Cantalini S., Covid-19, scuola a distanza e disuguaglianze, La Rivista delle Politiche Sociali, n° 1/2020, Ediesse Edizioni.
Ad aprile 2020 l’Economist sosteneva che tra i diversi settori economici quello dell’istruzione dovrebbe essere tra i meno toccati dalla crisi collegata alla Covid-19. La perdita di fatturato a livello globale dovrebbe essere minima, attorno al 2-3 per cento, contro perdite che per il commercio al dettaglio si prevede possano arrivare oltre il 90 per cento e per la manifattura sforare l’80 per cento. La domanda di istruzione in effetti è relativamente rigida – e il suo finanziamento prevalentemente pubblico – per cui le attività scolastiche proseguono e proseguiranno. D’altra parte in molti paesi la chiusura di scuole e università è stata una delle prime azioni decise dalle autorità per limitare la diffusione del morbo: le attività scolastiche possono produrre contagio, perché concentrano molte persone in una situazione di prossimità fisica e queste persone poi fanno ritorno a casa, a volte con spostamenti lunghi che coinvolgono il trasporto pubblico.
Scuola digitale e scuola da remoto
Durante il periodo di chiusura le attività scolastiche sono proseguite a distanza, “in remoto”. È importante non confondere la remotizzazione della scuola con la sua digitalizzazione. Quest’ultima consiste nell’utilizzo di strumenti digitali per sostenere e potenziare la normale didattica in presenza, mentre la remotizzazione prevede l’abolizione della presenza e il passaggio completo delle attività didattiche in modalità remota.
La digitalizzazione della scuola è ormai in corso dagli anni Duemila, mentre la remotizzazione integrale delle attività scolastiche non sembra prevista dalle politiche circa l’istruzione in nessun Paese, in particolare per quanto riguarda la scuola dell’obbligo. Tra le funzioni della scuola, infatti, non rientra solo la trasmissione di competenze cognitive, ma anche la socializzazione – cioè l’insegnamento delle regole e delle strutture di base dell’interazione sociale – processo che per sua stessa natura non può che avvenire in prossimità. La concentrazione fisica dei discenti in un singolo luogo è utile anche per altre ragioni: scaricare i genitori – in particolare le madri – dai compiti di cura, per esempio, consentendo di svolgere un’attività retribuita fuori dalla propria abitazione. Questa è una funzione che la scuola da remoto non può svolgere, se non in modo molto parziale per quei genitori che hanno occasione di lavorare da casa.
La remotizzazione della scuola ha effetti di disuguaglianza? Sicuramente a livello macro si osserva una diversa capacità delle scuole di organizzare la didattica in questo modo. Questa capacità, in media, è maggiore nelle università e per gli ultimi anni di liceo, minore nelle scuole dell’infanzia e primarie. È anche maggiore nei contesti più ricchi, vedi il centro urbano di un capoluogo del Nord o del Centro, e minore nei contesti meno abbienti, per esempio le aree interne montuose del Sud. In questo contributo ci concentriamo però su di un secondo fattore di disuguaglianza, di livello micro: le diverse capacità delle famiglie di fornire ai figli gli strumenti necessari per la scuola da remoto, e più in generale di sostenerli nelle loro attività scolastiche.
Didattica a distanza e vacanze estive: quanto aumentano le disuguaglianze
Dalla ricerca circa l’apprendimento scolastico sappiamo che le differenze di apprendimento a favore degli alunni con background familiare migliore rimangono stabili – o addirittura diminuiscono – durante la frequenza scolastica, mentre tendono ad aumentare nei periodi di pausa dalla scuola, come durante le vacanze estive. Il fatto è che durante le vacanze i bambini stanno in famiglia, dove sono esposti ai diversi stimoli associati alla differente estrazione sociale e culturale dei genitori, mentre durante l’anno scolastico essi passano parte del loro tempo a scuola, dove sono sottoposti a stimoli omogenei.
Le vacanze estive, dunque, producono disuguaglianze di apprendimento; la scuola, invece, le riduce, perché diminuisce o compensa l’impatto che i diversi contesti familiari hanno sull’apprendimento. Lo stesso dovrebbe accadere con la scuola in remoto, meno coinvolgente della scuola in presenza e più direttamente legata alle risorse disponibili a casa.
Internet ce l’hanno (quasi) tutti, tablet e e-book no
Non disponendo ancora di rilevazioni sul periodo della pandemia, le analisi si basano sui dati Pisa 2018 – il Programma per la valutazione internazionale degli studenti – relativi all’Italia, in particolare su un campione di 8.210 scolari quindicenni. Il primo aspetto da considerare nell’analisi della relazione tra remotizzazione e disuguaglianze riguarda le differenze di disponibilità nel contesto familiare delle dotazioni digitali fondamentali per usufruire della didattica a distanza (fig. 1). Se quasi la totalità degli studenti, indipendentemente dall’istruzione dei genitori, possiede un accesso a internet, così come almeno un computer e uno smartphone, la disponibilità di strumenti digitali meno diffusi, come il tablet e l’e-book, cresce al crescere dello status dei genitori.
A dipendere dal contesto socio-economico è soprattutto la quantità di strumenti digitali disponibili a casa: solo la metà dei figli di genitori con licenza media possiede almeno due computer, contro i tre quarti delle famiglie in cui un genitore è laureato. Questo è ancora più rilevante se si pensa che in media le famiglie meno istruite sono anche quelle con più figli, dove quindi è maggiore la probabilità di dover condividere computer o tablet con genitori o fratelli.
Instagram e TikTok spopolano, i libri sono per pochi
Differenziali simili caratterizzano l’utilizzo degli strumenti digitali nel contesto familiare: nelle famiglie dove i genitori sono meno istruiti la lettura di libri è meno frequente e viene più spesso svolta con supporti digitali piuttosto che in cartaceo, anche per via del minor numero di volumi presenti in casa. Non ci sono differenze rilevanti nella percentuale di quindicenni che utilizzano i device digitali per attività di svago: videogiochi o social networks li usano tutti o quasi. Al contrario, l’uso del digitale per motivi scolastici – svolgere una ricerca o approfondire le lezioni – è più frequente tra i figli di genitori istruiti.
Mamma e papà laureati aiutano di più con i compiti a casa
Contribuiscono alle disuguaglianze legate alla remotizzazione della scuola anche le differenze nelle attività di supporto genitoriale ai figli. In generale, di pari passo al titolo di studio cresce anche la disponibilità dei genitori ad attivarsi nell’aiuto ai figli per i compiti, nella discussione su letture e temi sociali, nella partecipazione ad attività formative e culturali. A maggior ragione se i figli sono piccoli e possono essere maggiormente penalizzati da una pausa scolastica. Purtroppo l’indagine Pisa non consente un confronto sistematico in base all’età dei figli. Fornisce però informazioni sulla frequenza con cui i genitori hanno svolto specifiche attività utili allo sviluppo e al consolidamento delle competenze dei figli facendo riferimento non solo al momento in cui sono stati raccolti i dati – quando cioè i figli avevano quindici anni – ma anche a quando i figli frequentavano la prima elementare. Le analisi confermano che all’aumentare del titolo di studio aumenta la probabilità di avere coinvolto i figli piccoli in attività di sostegno alle competenze, in particolare leggendo loro libri, raccontando storie, parlando insieme delle letture svolte e leggendo a voce alta lettere e parole (fig. 2).
Le differenze per istruzione sono invece inferiori per quanto riguarda le classiche attività di supporto ai figli quindicenni, come l’aiuto nei compiti, mentre si ripropongono se si considerano attività più direttamente legate allo sviluppo di competenze di un adolescente, come accompagnare il proprio figlio in libreria o in biblioteca oppure discutere con lui di questioni di politica e attualità.
Non solo le risorse digitali e le attività di sostegno genitoriale sono più frequenti nelle famiglie di laureati, ma in questi contesti sembrano anche più efficaci (fig. 3). A beneficiare maggiormente della presenza di strumenti digitali e dell’aiuto dei genitori a casa sono infatti i figli dei laureati: per loro avere un’elevata disponibilità di risorse digitali e un sostegno frequente da parte della famiglia aumenta di circa 20 punti il punteggio medio nelle competenze di lettura, mentre per i figli dei genitori con al massimo la licenza media non si riscontrano differenze rilevanti.
Più che didattica a distanza, didattica della diseguaglianza
La remotizzazione della scuola presenta forti costi, in termini non solo di qualità dell’insegnamento e di interruzione della funzione di socializzazione della scuola, ma anche in termini di disuguaglianze di apprendimento. La scuola da remoto presuppone la presenza in casa di strumenti digitali adeguati, e la disponibilità dei genitori ad attivarsi per aiutare i figli: abbiamo visto che in entrambi i casi esiste un netto differenziale nella disponibilità di entrambi i tipi di risorse, a vantaggio dei figli di genitori più istruiti. Pertanto, è molto probabile che la scuola da remoto abbia un effetto disequalizzatore, non solo perché la sua diffusione - come alternativa alla pura e semplice chiusura – è differenziata per aree geografiche, livello scolastico e tipo di scuola, ma anche a causa dei più generali meccanismi che legano famiglia, scuola e apprendimento.
Con l’arrivo di settembre bambini e ragazzi dovrebbero tornare tra i banchi di scuola, ma finché la pandemia da coronavirus non sarà finita la didattica da remoto rimarrà all’orizzonte, pronta a essere risfoderata alla bisogna. Bisogna riconoscerne i limiti se si vuole evitare che distanza diventi sinonimo di diseguaglianza, dentro e fuori dalla scuola.