Link all’articolo scientifico:
Negri, F. (2019). Economic or cultural backlash? Rethinking outsiders’ voting behavior. Electoral Studies, Volume 59, June 2019, Pages 158-163.
I partiti socialdemocratici stanno attraversando una fase di forte contrazione di consenso in tutti i Paesi europei. Si pensi, ad esempio, al Partito Socialista francese – a un passo dall’estinzione – o al Partito Socialdemocratico di Germania, che perde elettori a favore dei Verdi. O ancora, al Partito Democratico italiano: in seguito alla peggior sconfitta elettorale della sua storia, ha celebrato un congresso tra personalità di secondo piano, ha subito la scissione dell’ex-segretario Matteo Renzi e ora è invischiato in un’inedita e litigiosa coalizione col Movimento 5 Stelle.
Vulgata vuole che i partiti socialdemocratici perdano consensi perché gli elettori cadono preda delle sirene dei populisti, di destra e di sinistra, che alimentano le paure del diverso, del migrante, delle istituzioni sovra-nazionali, della globalizzazione e della finanza internazionale. Questa lettura del fenomeno è poco edificante nei confronti degli elettori – descritti come incapaci di giudicare razionalmente le proposte dei partiti politici – e auto-assolutoria per i partiti socialdemocratici – descritti come ‘ultimo baluardo’ contro l’irrazionalità montante.
Un recente studio (Negri 2019) sul comportamento di voto degli outsider del mercato del lavoro in 27 Paesi Europei dal 2008 al 2016 smentisce questa lettura: chi non ha lavoro (o ne ha poco) vota con il portafoglio, non con la pancia. Nel segreto dell’urna, premia i partiti che promettono maggiori tutele e accesso al welfare, non quelli che agitano la paura del diverso.
I partiti socialdemocratici perdono in casa
Le scelte di voto degli outsider sono largamente influenzate dalla tradizionale linea di contrapposizione ideologica tra sinistra e destra, tra Stato e mercato, tra maggiore e minore spesa pubblica. Il nuovo fronte di contrapposizione tra integrazione e demarcazione – tra cosmopolitismo e nazionalismo – non sembra invece saliente. Detto brutalmente, i partiti socialdemocratici stanno perdendo la partita pur giocando in casa. Regalano voti agli avversari perché non riescono più a convincere gli elettori sul tema a loro storicamente più caro – cioè l’allargamento e la riforma del welfare state – e non perché gli elettori cadano preda delle promesse dei populisti in materia di immigrazione. Questi sono i risultati di un’analisi meno auto-assolutoria per i partiti socialdemocratici, ma più empiricamente fondata e utile per elaborare strategie future.
Gli outsider: chi sono e cosa vogliono
Fino a quando la principale frattura nel mercato del lavoro è stata quella tra capitale e lavoro, dedurre le preferenze politiche degli individui in base alla loro occupazione era semplice: i lavoratori desideravano generose misure redistributive e quindi votavano per partiti socialdemocratici; i capitalisti propendevano per una bassa tassazione, quindi sostenevano partiti conservatori.
A partire dagli anni ’80, la frattura tra insider e outsider ha complicato le cose. Gli insider sono lavoratori dipendenti assunti con contratti a tempo indeterminato; gli outsider sono disoccupati e lavoratori atipici assunti con contratti a tempo determinato, poco o per nulla tutelati dal licenziamento e largamente estromessi dal sistema di welfare.
Questi due gruppi di lavoratori hanno interessi di policy eterogenei: gli insider mirano al mantenimento del sistema di welfare e delle leggi a tutela del lavoro attuali; gli outsider, al contrario, desiderano un nuovo sistema di welfare, più inclusivo e generoso. Secondo alcuni, gli outsider sarebbero pronti anche ad accettare un ulteriore depotenziamento delle leggi a tutela del lavoro se questo potesse favorire il loro inserimento lavorativo.
Uno studio recente suggerisce che una nuova categoria di lavoratori stia entrando nel gruppo degli outsider, accanto ai disoccupati e ai lavoratori atipici: i lavoratori autonomi senza dipendenti. Sempre più spesso, infatti, formule quali ‘libero professionista’, ‘freelance’ e ‘partita-IVA’ nascondono forme di lavoro dipendente non garantito.
Gli outsider: per chi votano
Per cominciare, gli outsider votano meno degli insider: rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, la probabilità di astenersi dal voto per un lavoratore a tempo determinato è più alta di oltre due punti percentuali. Per un disoccupato, questa probabilità cresce fino a sfondare la quota del 5 per cento in più. Sembra quindi che la marginalizzazione nel mondo del lavoro si ripercuota anche nell’arena politica.
Ma quando decidono di partecipare alle elezioni, per chi votano gli outsider? Per rispondere, lo studio mette in relazione lo status occupazionale dei votanti e le promesse elettorali dei partiti su quattro dimensioni: sinistra-destra, maggiore o minore spesa sociale, pro o contro i sindacati e pro o contro l’immigrazione.
I risultati confermano che disoccupati e lavoratori a tempo determinato prediligono partiti collocati più a sinistra di quelli votati dagli insider. Le scelte di voto di chi non ha lavoro o ha un contratto atipico sono orientate principalmente dalle proposte dei partiti in materia di spesa sociale: gli outsider premiano partiti più pro-welfare rispetto a quelli votati dagli insider. Non basta: contrariamente alle aspettative che li vorrebbero particolarmente ostili nei confronti dei sindacati – accusati di rappresentare gli interessi dei soli lavoratori a tempo indeterminato e dei pensionati – i disoccupati e i lavoratori a tempo determinato non sembrano curarsi del rapporto intrattenuto dai partiti con i sindacati.
L’immigrazione che divide e "lo strano caso" delle partite Iva
Emerge però una differenza tra disoccupati e lavoratori a tempo determinato: quando si parla di immigrazione, disoccupati e insider votano partiti con posizioni simili. Al contrario, i lavoratori a tempo determinato sostengono partiti con posizioni più favorevoli all’accoglienza dei migranti. A parità di livello di istruzione, età e reddito famigliare, i lavoratori a tempo determinato appaiono quindi più cosmopoliti e più inclini alla libera circolazione delle persone dei disoccupati.
Infine, il comportamento alle urne dei lavoratori autonomi senza dipendenti: sono davvero una new entry nella composita famiglia degli outsider? Lo studio dice di no. Le loro preferenze politiche sono una versione moderata di quelle degli imprenditori veri e propri: votano per partiti di centro-destra, che propongono di tagliare la spesa sociale e osteggiano i sindacati.
Gli outsider vogliono più welfare, non meno immigrazione
A conti fatti, alle urne gli outsider del mercato del lavoro votano per i partiti che promettono più convintamente l'allargamento del welfare state, senza prestare attenzione alle loro posizioni nei confronti dei sindacati. Contano le promesse elettorali in materia di espansione della spesa pubblica, non le retoriche che individuano negli immigrati la causa della disoccupazione e della precarietà del lavoro. Vince il portafoglio, non la pancia.